Visualizzazione post con etichetta Miracolo Mariano. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Miracolo Mariano. Mostra tutti i post

venerdì 19 maggio 2023

Firenze (FI) - SS.ma Annunziata di Firenze

La Madonna Annunziata: "Miracolo, Miracolo"

Lo splendido Santuario della Santissima Annunziata in Firenze è legato alle origini dell’Ordine dei Servi di Maria. Mentre Firenze è sconvolta da lotte fratricide, sette mercanti, membri di una compagnia di devoti della Madonna, decidono di raccogliersi in solitudine per iniziare una vita di penitenza e di contemplazione, con particolare devozione verso la Madonna Addolorata.
Verso il 1245, si ritirano sul Monte Senario, presso Firenze e danno inizio all’Ordine dei Servi di Maria. Ben presto però due di loro, Bonfiglio dei Monaldi e Alessio dei Falconieri, dovendo frequentemente scendere a Firenze per la questua e per la predicazione, costruiscono una piccola cappella fuori delle mura della città, come punto di riferimento e di appoggio della loro attività, e ne affidano in seguito la decorazione ad uno dei migliori pittori del tempo, certo Bartolomeo, (forse Bartolomeo da Siena che dipingeva in Firenze fin dal 1236), uomo di rara bontà, di grande fede e di singolare devozione verso la Santa Vergine. Scelgono come tema del dipinto principale il mistero dell’Annunciazione, inizio di tutta l’opera della Redenzione, la quale si conclude con la morte di Gesù sulla croce; ai piedi della croce vi è Maria Addolorata, per la quale essi hanno una particolarissima devozione. Così l’Annunziata si ricollega all’Addolorata. Nel 1252 il pittore inizia il suo lavoro che procede con celerità.

La Basilica e la Piazza della Santissima Annunziata a Firenze

Dopo un tempo ragionevole, la prima parte del quadro è completata; resta però il compito più difficile, raffigurare i volti dell’Angelo e della Vergine. Compreso della particolare difficoltà, si raccomanda con fervore a Dio ed alla Madonna, e riprende, pieno di coraggio e di speranza, il suo lavoro. I pennelli ed i colori scorrono fluidi; in poco tempo il volto dell’Angelo è completato e le sue sembianze appaiono così perfette che lo stesso pittore ne rimane meravigliato. Rincuorato da questo primo successo, tutto fiducioso in Dio e nella Beata Vergine, riprende con entusiasmo il lavoro per iniziare il volto della Madonna.


Ma, appena prende in mano i pennelli, è colto da un improvviso sonno che lo costringe a sospendere ogni cosa. Quando si desta, meravigliato per quel sonno così inspiegabile, riprende la tavolozza ed i pennelli per continuare l’opera. Ma, come alza gli occhi, vede il dipinto già completato ed il volto della Vergine mirabilmente tratteggiato da mano invisibile. Pieno di stupore e di confusione, fuori di sé, grida «Miracolo! Miracolo!». Accorrono i religiosi ed i fedeli presenti in chiesa e trovano il pittore inginocchiato, con le lacrime agli occhi, che non si stanca di fissare il volto celestiale della Madonna. Al racconto del fatto miracoloso, estasiati anch’essi dalla bellezza paradisiaca di quel volto, pieni di devozione intonano inni di lode e di ringraziamento al Signore ed alla Vergine.

L’immagine miracolosa della Santissima Annunziata a Firenze,
 dipinta da un ignoto toscano del XIV secolo
La notizia vola! Accorrono i Fiorentini che rimangono meravigliati della bellezza di quel volto, ed invogliati a presentare alla Madonna preghiere e suppliche di grazie; Maria esaudisce quelle fervide preghiere e concede favori tanto che, quel giorno, è proclamata «Madonna Santa Maria Madre di Grazie», come è scritto ai piedi dell’Immagine.

«Il fatto miracoloso avvenne, come accennato, nell’anno 1252, e molto probabilmente tra il 24 e 25 marzo».

Il dipinto ritrae la modesta camera della Vergine, dove si presume sia avvenuto l’annuncio dell’Angelo. A destra Maria siede su una seggiola a spalliera, con il volto rivolto soavemente in alto, mentre pronuncia le parole «Ecce Ancilla Domini, fiat...». 

L’Angelo, riverente, si inchina con le braccia incrociate sul petto e gli occhi modestamente rivolti a terra. In alto la figura dell’eterno Padre che benedice e la Colomba, simbolo dello Spirito Santo. 

Il volto della Madonna si distingue da tutto il resto del dipinto per bellezza e grazia celestiale, tanto che artisti, come Michelangelo, lo hanno sempre ritenuto fatto non da mano d’uomo, ma da Angeli. 
(Articolo di Don Mario Morra SDB, Da I Santuari d’Italia, Luglio 1929)
 

martedì 9 maggio 2023

Appignano (MC) - La Madonna Addolorata

La Madonna Addolorata

Correva l'anno 1550, quando il Consiglio comunale decise di tributare alla Madonna Addolorata una piccola edicola, che fu poi ricostruita nel 1746 nel quartiere di Santa Croce, perché quella originaria era in pessime condizioni. Ma l'immagine aveva attratto tanti e tali offerte che il Comune riuscì a far costruire non un piccolo altare, bensì una vera e propria Chiesa, i cui lavori durarono dal 1841 al 1859. Possiamo considerarla come il Santuario di Appignano, fortemente voluta sia dalla popolazione che dalle autorità civili. Davvero interessante la facciata della chiesa che costituisce un importante elemento di arredo urbano del quartiere di Santa Croce e si pone come un riferimento di notevole qualità formale, grazie allo slancio verticale del portale, alle nicchie laterali e alle paraste del XVIII sec.

La Chiesa dell'Addolorata

La Madonna dell'Addolorata venne fondata grazie all’iniziativa di un’unione di devoti che con il pretesto della visione del volto della Vergine lacrimante da parte di una donna di Appignano mentre si trovava a pregare nella cappellina sita nel prato di Santa Croce, ne richiesero la costruzione. 
L’evento fu ritenuto miracoloso e nel 1831 il parroco Don Giuseppe Fiorani e il Capitano del Popolo Angelo Benigni richiesero alla curia vescovile di Osimo l’autorizzazione per l’edificazione di un’idonea chiesa. Però ciò non fu facile in primo luogo per problemi di origine finanziaria ancora presenti nel 1833 quando, mentre il vescovo si dichiarava contrario all’autorizzazione, il cardinale ordinò il trasporto della sacra immagine nella chiesa matrice.
 

Solo il 5 giugno 1841 venne data l’autorizzazione alla concessione dell’area necessaria per la costruzione dell’edificio sacro. Il 29 luglio 1841 il vescovo diocesano cardinale Giovanni Soglia pose personalmente la prima pietra della nuova chiesa. Nel 1850 il parroco Don Benedetto Santoni poté benedire la cappella e riporvi la sacra immagine della Vergine. 

Nel 1859 si concluse la prima fase del cantiere. Nel 1882 la chiesa fu elevata a santuario e il primo rettore Don Giovanni Pacifico Masi fece edificare la cappella del Purgatorio. Il nipote Don Giovanni Fammilune fece edificare la cappella sul lato destro dedicata a S. Antonio da Padova mentre la cappella del Purgatorio venne decorata con ornati eseguiti dal pittore Nicola Didimi di Treia. La chiesa di S. Maria Addolorata rappresenta realmente il santuario di Appignano, mancava però un alto riconoscimento delle gerarchie ecclesiastiche, quindi si voleva ottenere l’onore dell’incoronazione dell’immagine. Il 14 settembre 1923 venne realizzato un nuovo altare maggiore in marmo, e il 16 settembre si svolse la cerimonia di incoronazione presso la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, dove il cardinale G. Mori pose una corona d’oro sulla fronte della sacra immagine. Nel pomeriggio avvenne la processione che si concluse con la collocazione della Madonna presso l’altare maggiore della chiesa dell’Addolorata.

Nel 1800 avvenne un fatto prodigioso: una donna intenta in preghiera nell’edicola, vide il volto della Vergine versare lacrime di pianto. In seguito al fervore religioso sorto dopo il miracolo, venne costruita nel 1831 una chiesa più degna alla Sacra Immagine. Il 29 luglio 1841 il vescovo di Osimo card. Giovanni Soglia in visita pastorale, pose la prima pietra della nuova chiesa che fu terminata nel 1859.

L’immagine venerata viene posta nella chiesa da don Francesco Santoni, il 8 aprile 1850. La festa è celebrata la seconda domenica di settembre.

Il comune

Appignano, bellissima località collinare situata nel cuore delle Marche, è considerato uno dei paesi più piccoli della provincia di Macerata. Appignano noto a livello nazionale per le sue maioliche e per la produzione di mobili e abbigliamento, è un paese in cui pullulano imprese dei settori più disparati. 


Appignano conserva oltre ad un caratteristico centro storico di epoca medievale e al Palazzo Comunale, realizzato verso la fine del settecento dall’architetto Mattia Capponi di Cupramontana, anche diversi monumenti di interesse artistico e architettonico da visitare come: il Convento di Forano, risalente al XIII sec. e noto per aver ospitato San Francesco d’Assisi; la Chiesa dell’Addolorata, edificata per la prima volta nel basso Medioevo e ricostruita a partire dal 1746; la Chiesa di San Giovanni Battista, costruita nel XVI sec. e rinnovata nel Settecento, Villa Tusculano, una villa costruita in epoca napoleonica dal conte Leopoldo Armaroli su progetto dell’architetto bolognese Giuseppe Nadi.

Video processione

Appignano offre ogni anno ai suoi turisti la Bellente il brigante, una tradizionale cena estiva a base di pietanze ottocentesche che vengono degustate nella piazza del Municipio di Appignano. Con costumi dell’epoca viene rievocata la vita appignanese dell’ottocento, influenzata dalle contraddizioni dello stato napoleonico e dai retaggi del potere papale. All’inizio dell’autunno, si svolge un altro evento di successo: Leguminaria. Un appuntamento gastronomico all’insegna dei legumi secchi, come ceci, fagioli, lenticchie e roveja. Ogni pietanza viene realizzata secondo la ricetta “della nonna” , per poi essere servita in ciotole di terracotta appositamente realizzate dai Mastri Vasai di Appignano.


lunedì 23 maggio 2022

Bologna (BO) - Beata Vergine delle Lacrime (sec. XIV)


La Madonna delle Lacrime

Nei primi anni del Cinquecento Montanina Ottoni, signora di Matelica, trovò questa immagine piangente abbandonata in una siepe. Dopo la morte del marito, un Fogliani di Fermo, si fece suora del convento delle domenicane di Santa Caterina da Siena, contrada della Portella, Fabriano, portò con se il quadro.
Dal 1582 e nei tre anni successivi l’immagine fu vista versare più volte copiose lacrime amorevolmente raccolte con la bambagia. La notizia del prodigio si diffuse, il Consiglio di Credenza dopo l’ultima lacrimazione del 24 maggio 1584, ordinò processioni solenni lungo le principali strade del castello adornate di festoni e luminarie.
Narrano le cronache che all’adorazione parteciparono migliaia di persone importanti. La devozione non si è mai interrotta nei successivi 400 anni . Negli archivi sono custodite numerose testionianze giurate di grazie, di guarigioni prodigiose accadute fino ai nostri giorni. Per brevità rammento ai credenti la prima e l’ultima in ordine di tempo elargite dalla Madonna.
La prima lacrimazione della Vergine fu interpretata come presagio di disgrazie. Infatti nel 1591 ci fu la più grande carestia della storia di Fabriano, morirono oltre undicimila persone. Ebbene, in quei tristissimi giorni anche le domenicane non avevano più da mangiare. Speranzose implorarono la madre celeste. Mentre adunate in refettorio spartivano le ultime molliche di pane suonò il campanello del parlatorio. Andò ad aprire una suora, camminava aiutandosi con le stampelle. Quando riuscì a fatica ad aprire il portone venne travolta da un mucchio di grano “senza che vi fosse persona alcuna”. Presa dall’emozione si gettò su quel ben di Dio e si alzò guarita. Corse gridando per i corridoi, giunse nel refettorio saltando come un grillo, pronunciando parole incomprensibili.


Allarmate le consorelle corsero all’ingresso, e commosse sciolsero ringraziamenti a Dio. Il grano fu sufficiente per superare le ristrettezze e molto fu distribuito agli affamati accorsi. Per perpetuare la memoria del “grano miracoloso” che si ripeté nel 1840, le suore ne racchiusero alcuni chicci entro spighe di fili d’argento. Pochi anni or sono Andrea, giovane di 18 anni subì un gravissimo incidente stradale, i medici lo davano per spacciato. I genitori affranti, ma fiduciosi vegliarono tutta la notte davanti all’immagine della Madre del Verbo. Tornati all’ospedale trovarono il figlio migliorato, lentamente stava riprendendosi la vita. Le domenicane furono nel 1904 trasferite a Bologna, convento di S. Agnese nel quale portarono l’immagine della Madonna e il prezioso crocifisso di S.Leonardo da Porto Maurizio. Ora, anche questo cenobio è stato chiuso per mancanza di vocazioni. Grazie a d. Alfredo Zuccatosta l’effige della B. Vergine il 24 maggio 2013 è ritornata a Fabriano, venerata ora nella chiesa Cattedrale con preghiere e canti corali (Articolo di di Balilla Beltrame che si ringrazia).

domenica 15 maggio 2022

Roma (RM) - Madonna del Pozzo


Madonna del Pozzo - Chiesa di Santa Maria in Via (Largo Chigi)

In una notte tra il 26 e il 27 settembre del lontano 1256, le acque del pozzo di una stalla di proprietà del Cardinale Pietro Capocci, nobile romano imparentato con i Colonna, gli Orsini e i Cenci, tracimarono.

I suoi servitori, spaventati da qualcosa che galleggiava sopra le acque, e che non riuscivano a prendere perché sgusciava dalle loro mani come un pesce, lo svegliarono. Il cardinale si precipitò nella stalla e vide la lastra di pietra, raffigurante la Vergine Maria, ondeggiare a pelo d’acqua. Dopo una breve preghiera, riuscì a prenderla con delicatezza tra le mani. L’acqua, prima inarrestabile, si placò, rientrando nel pozzo.

L’indomani, Papa Alessandro IV fece portare la sacra immagine in processione e fece costruire, al posto della stalla, una cappella dedicata alla Madonna, per ricordare il miracolo appena avvenuto. Da allora, anche Roma ha la sua piccola Lourdes: nasce una storia di devozione lunga 8 secoli, e il volto dolce e materno della Madonna è oggetto di venerazione e dispensatore di grazie.


Ancora oggi, molti fedeli, romani e turisti da ogni parte del mondo che ne conoscono la vicenda, visitano, anche fino a tarda sera, questa graziosa chiesa nel cuore di Roma, per bere un sorso dell’acqua miracolosa che sgorga dall’antico pozzo. La chiesa, le cui origini risalgono a prima del 995 d.C., sorge tra Via del Tritone, la Galleria Alberto Sordi e Via del Corso, a due passi dalla Fontana di Trevi.


Il suo nome particolare, Chiesa di Santa Maria “in Via”, sembra faccia riferimento alla vicinanza con la Via Flaminia (l’odierna Via del Corso), che all’epoca veniva definita “la via“. Fu riedificata nel 1491 sotto Papa Innocenzo VIII, affidata da Papa Leone X ai padri serviti, e ricostruita, nel 1594, da Francesco da Volterra, su progetto di Giacomo Della Porta che iniziò la facciata, successivamente completata da Carlo Rainaldi nel 1681. La facciata è in travertino; l’interno, a navata unica, presenta un'unica abside e quattro cappelle per ogni lato.


Nella piccola cappella di destra, troviamo il quadro raccolto dal Cardinal Capocci, opera di pittore di scuola romana del XIII secolo, e una nicchia con un piccolo rubinetto, che consente ai fedeli di bere un sorso dell’acqua prodigiosa o di riempiere una bottiglietta da portare a un familiare malato che l’attende con ansia. Secondo la leggenda, una pietra del pozzo da cui la Samaritana dissetò Gesù è murata in quello della chiesa (Vedi immagine sopra).
Il santuario contiene, inoltre, molte altre mirabili opere, tra cui il Crocifisso ligneo del 1500 e la Cappella Aldobrandini, che ospita una bella pala d’altare raffigurante l’Annunciazione e due tele, Adorazione dei Magi e Natività, opere del Cavalier D’Arpino.


Le altre cappelle sono dedicate alla Santissima Trinità, a Sant’Andrea Apostolo, al Sacro Cuore di Gesù, ai Sette Santi Fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria e a San Pellegrino


martedì 10 maggio 2022

Monopoli (BA) - Madonna della Madia


Beata Vergine Maria della Madia

Il titolo di Beata Vergine Maria della Madia è il titolo con il quale la Vergine Maria è venerata come patrona della città di Monopoli e della diocesi di Conversano - Monopoli.

La storia dell'arrivo di questa icona affonda le sue radici nell'anno 1107, quando Romualdo, vescovo di Monopoli, iniziò la costruzione della nuova Cattedrale per la sua città, che avrebbe dovuto sostituire il vecchio tempio ormai troppo usurato e angusto. Dieci anni dopo i lavori vennero bloccati perché non si riuscivano a trovare i legni per costruire la volta a capriate della chiesa (secondo le caratteristiche proprie dello stile romanico). Il vescovo si affidò fervidamente all'intercessione della Vergine Maria. È qui che la storia inizia ad intrecciarsi con la tradizione: la notte tra il 15 e il 16 dicembre 1117 la Madonna stessa si mostrò in sogno ad un pio monopolitano, chiamato - secondo una parte della tradizione -Mercurio, annunciando che al porto era giunto quanto il vescovo aveva richiesto. L'uomo senza perdere tempo, di notte, corse a comunicare quanto visto al vescovo il quale, incredulo, lo rispedì a casa a dormire. La cosa si ripeté per tre volte. Alla terza volta Mercurio volle andare di persona al porto per accertarsi di ciò che in sogno gli veniva annunciato e, con sua grande sorpresa, scorse nel bacino portuale una grande zattera fatta di 31 lunghe e grosse travi. 


Pieno di gioia corse al vescovado e annunciò a Romualdo che le travi erano arrivate e che lui stesso le aveva viste. Disposta una grande processione il vescovo si recò al porto dove, sulla zattera, si accorse della presenza di una icona che raffigurava la Madre di Dio con in braccio il Cristo. La tradizione orale, non riportata tuttavia in nessuna fonte, racconta che la zattera sia arretrata per tre volte impedendo al presule di prendere l'Immagine, sdegnata per l'incredulità di Romualdo. Dopo aver incensato l'icona l'anziano vescovo poté toccare l'immagine miracolosa e in processione ritornò in Cattedrale portando sia le travi che la venerata effigie. Di qui il titolo di Madia (dallo spagnolo almadía, che vuol dire proprio "insieme di travi, zattera"): Madonna della Madia, quindi, vale come "Madonna della zattera".

La provenienza dell'icona
Alcune particolari caratteristiche di questa icona sono di grande importanza per definirne le sue coordinate spazio-temporali. La sua origine è collocabile nell'area costantinopolitana, in quanto è proprio nel monastero degli Odighoi (delle guide) di Costantinopoli che si diffuse il culto verso la prima e più antica icona della Madre di Dio Odigitria (oggi andata perduta) giunta da Gerusalemme nel V secolo. Il colore rosso scuro del maphorion della Vergine è tipico delle icone scritte in quella zona. Anche l'uso dei colori per gli incarnati fanno riscontrare una notevole somiglianza con l'icona della Madre di Dio di Vladimir, proveniente anch'essa dalla zona di Costantinopoli.

La postura del Cristo permette di fissare una precisa datazione dell'icona. Le antiche Odigitrie lo raffiguravano in posizione frontale rispetto al fedele, ma nel periodo della dinastia dei Comneni esso subisce una graduale rotazione del corpo verso la Madre; questo movimento darà poi vita al tipo iconografico della Glycophilousa (Madonna della dolcezza). L'anno 1117 trova perciò una sua perfetta corrispondenza in questo particolare legame storico con la dinastia comnena che, infatti, ha governato l'impero bizantino tra l'XI e il XII secolo.

Le due figure che sono riprodotte in basso, una presenza inconsueta in un'icona, dipinte in un secondo momento rispetto alla scrittura della tavola, rimandano ancora al monastero costantinopolitano dove, oltre ai monaci (di cui abbiamo un richiamo nella figura prostrata ai piedi del Cristo), risiedeva anche la Confraternita dell'Odigitria che indossava come abito liturgico una veste rossa molto simile a quella della figura in basso a sinistra della Madia. 


Un'altra possibilità, meno certa della prima, è che l'iconografo stesso abbia voluto evidenziare in maniera più forte la provenienza di questa icona aggiungendo in basso i due uomini in preghiera, ma la loro fattura e lo stile utilizzato molto diversi rispetto alla Madre e al Cristo portano a pensare alla loro aggiunta posticcia. La notizia sembra confermata dalle analisi svolte sull'Icona durante il suo restauro negli anni Ottanta del Novecento. Le sue grandi dimensioni, inoltre, fanno pensare ad una sua origine per uso liturgico, quindi sicuramente anche processionale.

Alcune ipotesi tradizionali, infine, attribuiscono l'arrivo di questa icona a Monopoli da Costantinopoli per mano di un certo Euprasio, tuttavia non ci sono fonti storiche che lo accertino. Secondo altri studiosi, le aureole a racemi realizzati con un rilievo in pastiglia farebbero pensare anche ad un collegamento con le produzioni iconografiche cipriote o crociate.

Il culto liturgico
La forte devozione che nei secoli si è concentrata attorno a questa immagine ha conosciuto un momento di splendore soprattutto a partire dall'opera del vescovo Giuseppe Cavalieri (1664-1696), il quale avviò il cammino verso un riconoscimento della Chiesa di una liturgia propria dedicata alla Vergine con il titolo "della Madia". Nel 1680 riuscì ad ottenere dal Pontefice Innocenzo XI “che nel giorno 16 dicembre di ciascun anno in commemorazione di detta miracolosa venuta si celebrasse in questa Città, e sua Diocesi l’Officio di S.ta Maria ad Nives sotto il rito di prima classe ad libitum" con le "lezzioni del secondo notturno dell'Officio di S. Maria in Sabato". Da quell'anno il 16 di dicembre assume un carattere festivo anche dal punto di vista liturgico.

Papa Benedetto XIII, che più volte da cardinale aveva pregato dinanzi alla venerata icona di Monopoli, con breve apostolico del 5 marzo 1727 concesse in perpetuum l’indulgenza plenaria a chi, confessato e comunicato pregava davanti alla Vergine della Madia durante l’Ottava dell’Assunta. Lo stesso Pontefice, con breve apostolico del 6 dicembre 1727, aggiunse l’indulgenza plenaria a chi il giorno 16 dicembre visita la Chiesa Cattedrale di Monopoli e, inoltre, dichiarò il suo altare privilegiatum in perpetuum per tutte le Messe di Requiem.

Il 17 marzo 1728, accogliendo le richieste del Vescovo Giulio Sacchi (Vescovo di Monopoli dal 1724 al 31 luglio 1738) e del Capitolo Cattedrale, la Congregazione dei Riti concede a Monopoli e alla sua Diocesi la Messa e l’ufficio proprio per la solennità della Beata Vergine Maria della Madia con il seguente titolo:
Die XVI Decembris - Festum Commemorationis solemnis adventus sacræ imaginis Beatæ Virginis Mariæ de Madia, Monopolim - Duplex primæ classis.

Le travi della zattera
Questi lunghi tronchi, trentuno secondo la tradizione, sono stati sempre oggetto di venerazione da parte dei fedeli, nonché della loro curiosità. Il Glianes nella sua opera (1643) ne esalta l’incorruzione e il profumo, e le classifica come legno di cedro. Il Nardelli riporta come ignota la provenienza e la tipologia di legname. Nella documentazione inviata a Roma da Mons. Giuseppe Cacace (vescovo di Monopoli dal 1761 al 1778) per l’ottenimento delle corone auree, circa le travi era scritto: "Di che alberi siano le dette travi nessuno dei periti dell’arte del legno è stato capace di accertare, neanche quelli di cotesta Alma Urbe, ai quali si rivolse Mons. Giuseppe Cavalieri, già Vescovo di questa Città di Monopoli, quando compì la visita alle Sacre Soglie degli Apostoli" [nel 1680]. Alcuni campioni del legno furono inviati anche a Napoli, ma senza ottenere risultati illuminanti. Dalla cronaca dell’Indelli non si ricavano notizie che affermino nulla di diverso: "Le travi di qual legno siano non si può con certezza affermare".

Con la nomina dell’Arcidiacono don Cosimo Tartarelli a Custode della Madia si procedette finalmente, per sua volontà, a tre analisi scientifiche diverse compiute nel 1960. La prima, all’inizio dell’anno, presso il Centro Nazionale del Legno di Firenze per mano del Prof. Guglielmo Giordano. Una seconda analisi, il 18 novembre, presso l’Istituto di Botanica dell’Università di Bari dalla Dott.ssa Franca Scaramuzzi. La terza, infine, il 6 dicembre, eseguita dalla Dott. Albina Messeri, Preside dell’Istituto di Botanica dell’Università di Messina. I referti portarono ad identificare le travi della Madia come legno di Pinus Halephensis (Pino d’Aleppo, detto anche Pino di Gerusalemme).

L'incoronazione canonica
Le corone in oro donate dal Rev. Capitolo Vaticano alla Vergine della Madia, realizzate dall'argentiere Bartolomeo Boroni, Roma 1769. Accanto i relativi ornamenti donati dalla Marchesa Teresa Palmieri nel XIX secolo che venivano posti alla base della corone.


Lettura teologica dell'icona
L'immagine si risolve anzitutto in un atto di amore per il Bambino. La Madre è rivolta a lui con una tenerezza che è pari solo alla segreta e raccolta adorazione. 

La Madre con umiltà indica ed intercede presso il suo Re che ha sulle braccia. Il Cristo è atteggiato ad una serietà che trascende gli anni, è vestito con panni aulici, l'himàtion, l'abito della gloria che indossa il Risorto. No ha vesti di pargolo, intense le pupille nelle orbite scure; è immerso in un ascolto fatto di benevolenza e maestà. Ascolta e guarda assorto la Madre sul cui cuore poggia la mano benedicente, (centro di tutta l'opera) arra di sicura e potente protezione. Dionìsio da Furnà (XVIII secolo), monaco del monte Athos, attribuisce alle dita della mano benedicente le lettere iniziali del nome Gesù Cristo espresso in greco (IHSOYC XPISTÓC). Nelle mani del Cristo il rotulus, segno della Legge antica che lui è venuto a compiere e perfezionare. La Madonna indossa il maphorion greco, abito proprio della donne sposate, di colore rosso scuro. Sotto il manto i capelli raccolti nella mitella (cuffia) di colore azzurro, oggi molto sbiadito. Il volto della Vergine è la zona più vibrante in cui si esprime con grande eloquenza il momento focale dell'opera pittorica. Il volto è appena inclinato sul Figlio e valore espressivo hanno gli occhi grandi a cui fanno corona accentuati e lunghi sopraccigli, elementi che danno forza monumentale e colpiscono come negli antichi mosaici anche da lontano. Il naso è aquilino, la bocca raccolta e fine. Le pupille scrutano l'osservatore, anzitutto l'occhio destro che insiste non certo a caso in un punto centrale della tavola e si fa chiave di volta di tutta la sapiente composizione. Sul capo una stella, in origine certamente tre, segno della sua perenne e divina verginità.

I nove secoli che questa tavola porta su di se hanno tracciato il loro corso rendendo scuro il fondo dell'icona realizzato certamente in foglia oro e cancellando gli anagrammi con il titolo teologico della figure: MHP-OU (Madre di Dio) e IC-XC (Gesù Cristo), era l'imprimatur dell'autorità ecclesiastica che definiva canonica un'icona, cioè degna di venerazione, di culto.


La rievocazione annuale dell'approdo
Il 16 dicembre, solennità liturgica della Beata Maria Vergine della Madia, alle cinque del mattino, l'intera città si riversa sul porto (Cala batteria) e rivive I'approdo della venerata icona. L'appuntamento mattutino è preceduto dalla cosiddetta nottata: le famiglie si riuniscono in casa e trascorrono insieme tutta la notte in un clima di festa per poi recarsi al porto e accogliere la Madre venuta dal mare su di una zattera (nel gergo popolare la gente dice: scende la Madonna). Ogni anno vengono stimate circa 40.000 persone. Quello di dicembre è un appuntamento molto suggestivo e sentito sia perché è la rievocazione propria del giorno in cui l'icona arrivò a Monopoli sia per il fascino che aggiunge il clima natalizio. I festeggiamenti si ripetono nel mese di agosto, mese mariano per Monopoli. La sera del 31 luglio una grande folla di fedeli si raccoglie davanti al sagrato della Basilica Cattedrale per la recita del S. Rosario; a mezzanotte viene aperto il grande portale d'ingresso, inaugurando così il mese della Protettrice. Nei giorni 13-14-15-16 di agosto si svolgono i festeggiamenti solenni, soprattutto per i monopolitani residenti all'estero che ritornano ad omaggiare la loro patrona. Non mancano le artistiche luminarie, i fuochi pirotecnici, le bande e le attrazioni per i piccoli; in questa cornice, il 14 agosto, si ripete l'approdo dell'icona, questa volta in tarda serata, seguendo lo stesso cerimoniale dell'approdo invernale.

I miracoli
Gli eventi straordinari in cui i fedeli hanno riscontrato una protezione celeste attribuita alla Vergine monopolitana sono diversi, raccontati dalle testimonianze scritte che nei secoli si sono raccolte, cui si aggiungono gli ex voto custoditi presso il Santuario della Cattedrale. Oltre gli scritti, i dipinti custoditi nella cosiddetta sala dei miracoli adiacente al Santuario. Queste tavolette dipinte, realizzate dal “miracolato” stesso o in genere commissionate ad una mano più esperta, rappresentano solitamente la situazione in cui si è compiuto il miracolo e in alto l’immagine raggiante della Madonna. Nel caso di Monopoli i fatti miracolosi sono legati fondamentalmente alla vita marinara. Gli ex voto sono spesso in ringraziamento per uno scampato naufragio o tempesta; non mancano episodi legati al mondo contadino, come incidenti con carri e incendi, e altre situazioni legate alla vita quotidiana come la caduta di fulmini o incidenti stradali. Alle tavolette dipinte si aggiungono anche i tradizionali ex voto in argento con la sigla P.G.R. (per grazia ricevuta) che non sono esposti nella sala dei miracoli. Di notevole importanza è da considerarsi la venerazione della gente verso le travi della zattera (visibili ancora oggi in un grande armadio nella prima Cappella a destra entrando in Cattedrale). Quasi tutti i marinai portano sulla loro imbarcazione un frammento di quel tronco e non di rado ne gettano una scheggia in mare in situazione di pericolo. Un altro segno della devozione, oggi caduto in disuso, era legato alle colonnine in argento e oro che fino agli anni ’80 erano collocate proprio nella nicchia dove è custodita la sacra icona. Realizzate nella seconda metà del XVIII secolo, furono pensate come supporti dove appendere gli oggetti preziosi che venivano donati alla Madonna. Tuttavia dal primo inventario

in cui vengono menzionate compaiono come: “La colonnetta di M.a SS. p[per] le partorienti”. Si deduce che queste piccole colonnine, a seconda delle richieste, uscivano dalla Cattedrale per essere posate sul grembo della partoriente come segno di protezione della Madonna. L’intervento maggiormente ricordato, e più vicino a noi nel tempo, è quello del bombardamento di Monopoli del 16 novembre 1940, in piena seconda guerra mondiale. Le testimonianze raccontano che quel giorno una fitta nebbia rendeva Monopoli quasi invisibile. Sulla città furono sganciate sessanta bombe, delle quali solo tre esplosero. 


I danni furono molto meno di quelli che ci si poteva aspettare: due case distrutte senza alcun ferito e un solo morto. Dopo due anni il Vescovo scopriva una lapide a memoria perenne dell’accaduto con queste parole:

D.O.M. /LA CITTADINANZA DI MONOPOLI /SCAMPATA ALL'INCURSIONE NEMICA/ DELLA NOTTE DEL 16 NOVEMBRE 1940 XIX /ALLA /DIVINA PATRONA /LA MADONNA DELLA MADIA /PER LA CUI INTERCESSIONE IN SI DURA PROVA /FU MIRACOLOSAMENTE PRESERVATA /CON VIVA FEDE RENDE UNANIME/ TESTIMONIANZA DI GRATITUDINE ETERNA /AUSPICE ECC. G. BIANCHI VESCOVO - ASSUNTA 1942.

La lapide è collocata accanto alla porta di ingresso dallo scalone destro del Santuario.

(Notizie tratte da Wikipedia)


lunedì 9 maggio 2022

Roma (RM) - Madonna del Divino Amore

Il Santuario

Perché un Santuario in località Castel di Leva, in un posto così fuori mano, lontano dal centro abitato, là tra la via Ardeatina e la via Appia Antica? Pur essendo così congeniale alla propria spiritualità, gli stessi romani poco sanno dell’origine del Santuario e della devozione cui l’edificio è votato.

La storia del Santuario è davvero inconsueta. Non è legata ad una apparizione della Madonna, ma ad una antica immagine della Vergine in trono con in braccio Gesù Bambino, sovrastati entrambi dalla colomba simbolo dello Spirito Santo (di qui il titolo di Madonna del Divino Amore). Il dipinto era posto su una delle torri di cinta di un antico castello, il castello dei Leoni (da cui la degenerazione in Castel di Leva), che nel 1740, anno del primo miracolo, appariva già diroccato, forse distrutto da un terremoto.

Fin dal 1081 (quando per la prima volta se ne trova menzione in una bolla di Gregorio VII) quella terra era appartenuta all’Abbazia di San Paolo. Più in là nel tempo la proprietà passò alla chiesa di Santa Sabina e, quindi, nel 1295, alla famiglia dei Savelli. Il castello fu costruito proprio in quegli anni. Successivamente, probabilmente per mano di un autore della scuola romana di Pietro Cavallini, fu eseguito il dipinto della Madonna, che in attesa di compiere il primo miracolo – come sottolineano i versi di un poeta dialettale – "stette lì, sola soletta, pe’ tre secoli bòni, allo scoperto".

In quell'epoca, infatti, un po’ tutta la campagna romana, ma in particolare quel tratto, era arida e abbandonata. Solo d’inverno vi si spingeva qualche pastore per far pascolare il gregge di pecore. In tanta desolazione, l'unico segno di vita e di conforto era appunto il dipinto della Madonna, ai piedi della quale la sera i pastori si riunivano per recitare il rosario.
Nel 1740, in un pomeriggio di primavera, accadde il miracolo. E l'immagine della Madonna dipinta su quella torre diroccata divenne presto la meta di pellegrini, "sempre più devoti e numerosi, che ricevevano numerose grazie".

NEL 1740 A CASTEL DI LEVA: STORIA DEL PRIMO MIRACOLO

Èun giorno di primavera del 1740. Un viandante, probabilmente un pellegrino diretto a San Pietro, si smarrisce per quegli squallidi e deserti sentieri di campagna nei pressi di Castel di Leva, una dozzina di chilometri a sud dell’Urbe. Nell’aria si avverte intenso l’odore della camomilla e del finocchio selvatico. Ma a quel tempo l’agro romano non doveva apparire particolarmente attraente. Tanto da fare una pessima impressione, sul finire di quello stesso secolo, anche al celebre letterato Vittorio Alfieri: "...vuota, insalubre region che Stato ti vai nomando, Aridi campi incolti squallidi oppressi estenuanti volti". E il poeta dialettale Gioacchino Belli, qualche anno più tardi, così gli avrebbe fatto eco: "...Fà dieci mija e nun vedè nà fronna! Imbatte ammalappena in quarche scojo! Dappertutto un silenzio come n’ojo".

 


Si trattava di vaste estensioni incolte, punteggiate di qualche antico rudere, aride d’estate e buone solo per il pascolo delle pecore d’inverno. I pastori e i contadini, che vi passavano alcuni giorni per la raccolta del fieno, evitavano di abitarvi stabilmente anche a causa della malaria.

Smarrirsi per quelle terre, pertanto, non doveva essere proprio così piacevole. Allo stesso modo affrontare un pellegrinaggio per pregare sulla tomba dell’apostolo Pietro non doveva precisamente assomigliare a quella che oggi noi siamo abituati a chiamare una scampagnata. Alla fatica del cammino e all’asprezza delle intemperie cui si era esposti, si aggiungeva il rischio di cadere vittima in qualche imboscata tesa da briganti e banditi. Avendo però scorto alcuni casali e un castello diroccato in cima ad una collina, il viandante vi si dirige di buon passo nella speranza di ottenere qualche informazione utile per rimettersi sulla giusta strada.

 

Ma proprio mentre sta per fare ingresso nel castello viene assalito da una muta di cani rabbiosi. Le belve inferocite lo circondano e sembrano non offrirgli via di scampo. Impaurito, anzi letteralmente terrorizzato, il poveretto alza lo sguardo e si accorge che sulla torre, c’è un’immagine sacra. È la Vergine con il Bambino, sovrastata dalla colomba dello Spirito Santo, che è il Divino Amore. Come un naufrago che si aggrappa alla sua scialuppa, con tutta la forza di cui è capace, urla: "Madonna mia, grazia!".

È un attimo. Le bestie, che ormai gli sono addosso, di colpo si fermano. Sembra quasi che obbediscano mansuete ad un ordine misterioso.

Al richiamo di quell'urlo disperato i pastori che sono nei pressi accorrono e, dopo avere ascoltato quell’incredibile racconto, rimettono il pellegrino sulla strada per Roma. Di quell’uomo non si saprà mai il nome. Sappiamo con certezza, invece, che non stette zitto, ma raccontò per filo e per segno tutto quello che gli era accaduto a chiunque incontrasse o dovunque andasse. Tanto che quel luogo, Castel di Leva, come riportano le cronache del tempo, divenne assai famoso: "Non si distingueva più il giorno dalla notte e continuamente era un accorrere di pellegrini sempre più devoti e numerosi, che ricevevano numerose grazie".

UNA CASA PER LA MADONNA

L’eco di quanto era accaduto e, soprattutto, il concorso di pellegrini, furono tanto vasti da spingere ben presto la gerarchia ecclesiastica a volerci vedere chiaro. Il Cardinale Vicario, il carmelitano scalzo Giovanni Antonio Guadagni, si recò in visita a Castel di Leva. Si decise così di trovare subito un tetto alla Madonna. L’immagine fu staccata dall’antica torre e trasportata nella chiesetta di Santa Maria ad Magos, a due chilometri da Castel di Leva, in località Falcognana.

La decisione non fu indolore. E non solo perché la scarsa perizia con cui, nel 1742, fu eseguito il distacco dell’affresco dal muro ha portato a danni non più riparabili, e anzi aggravati da incauti e numerosi restauri successivi. Il trasferimento della miracolosa immagine scatenò, infatti, il finimondo tra il Capitolo di San Giovanni in Laterano, alla cui giurisdizione apparteneva la chiesetta di Falcognana, e il Conservatorio di Santa Caterina della Rota ai Funari, proprietario di Castel di Leva e quindi del dipinto.

A dirimere il contenzioso dovette intervenire la Sacra Rota: con sentenza definitiva dell’8 marzo 1743 si decise per l’appartenenza dell’immagine al Conservatorio di Santa Caterina, precisando che le offerte dei pellegrini dovevano servire per la costruzione di una chiesa.

In breve si pose mano ai lavori, per i quali si incaricò l’architetto campano Filippo Raguzzini. In poco meno di un anno la nuova chiesa, edificata sul luogo del miracolo, era pronta per ospitare l’immagine della Madonna. Il 19 aprile, lunedì di Pasqua 1745, si procedette al trasferimento. Le cronache del tempo annotano una gigantesca folla di romani e di abitanti dei Castelli, con tanto di gonfaloni e di confraternite, che fece da corona al carro che trasportò la prodigiosa effigie dalla chiesetta di Santa Maria ad Magos al Santuario appena eretto. Per l’occasione papa Benedetto XIV concesse ai partecipanti l’indulgenza plenaria, che potevano lucrare anche coloro che avessero visitato l’immagine in uno dei sette giorni seguenti quello del trasferimento.

Durante l’Anno Santo del 1750, il 31 maggio, si procedette alla solenne dedicazione della chiesa e dell’altare maggiore al Divino Amore, che è poi il titolo che meglio di ogni altro spiega chi è Maria: una ragazza che accettò di diventare Madre del Salvatore perché ripiena dello Spirito Santo, cioè del Divino Amore. La celebrazione fu presieduta dal Vescovo di Padova, il Cardinale Carlo Rezzonico, che otto anni più tardi salirà al soglio pontificio, con il nome di Clemente XIII.


Il Titolo Mariano
Il titolo di "Madonna del Divino Amore" vuol dire che non bisogna mai separare Maria dal suo divino artefice e sposo, lo Spirito Santo. Significa che, come per la Beata Vergine, così anche per ciascuno di noi, senza lo Spirito Santo non si può agire rettamente e non si può divenire costruttori di una società nuova. È lo Spirito Santo, che Gesù ci ha meritato, a sostenere il compito della comunità cristiana. Da parte sua, infatti, la Chiesa non mira che a questo: continuare, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l’opera stessa di Cristo.

Per tutta la Chiesa, il terzo millennio che si è aperto è segnato dalla presenza della Beata Vergine Maria, nella sua divina maternità: l’incarnazione e la nascita di Gesù Cristo dipendono da lei. Lo Spirito Santo, il Divino Amore, l’ha resa madre del Figlio di Dio.Il Santuario del Divino Amore vive questo tempo - come Maria di Nazareth - non in maniera inerte e distratta, ma con una sollecitudine che si apre all’azione dello Spirito che in lei trovò dimora. In questo luogo, che ricorda e fa rivivere lo stesso evento, ci sentiamo tutti coinvolti nel ricreare continuamente quella atmosfera mariana e spirituale che aiuta i pellegrini a scoprire il progetto di Dio sulla loro vita.
Con il Grande Giubileo dell’anno 2000 il Santuario è stato coinvolto in modo ufficiale nelle celebrazioni degli anni santi. Anche la sua storia iniziò proprio in coincidenza con il Giubileo del 1750, quando venne aperto al culto e all’accoglienza dei pellegrini, inaugurando una lunga serie di manifestazioni di fede e di pietà che ne hanno fatto uno spazio sacro, che stimola alla conversione, alla penitenza e alla riconciliazione, alla risposta vocazionale e alla carità.


In occasione del Grande Giubileo del Duemila, inoltre, il Santuario ha raggiunto un traguardo che si può ben definire storico. Sono stati infatti ultimati i lavori della nuova chiesa e della casa per anziani soli. E’ stato così adempiuto il voto fatto dai romani nel 1944 alla Vergine per ottenere la salvezza della città dalle distruzioni della guerra.
Anche l’adempimento di questo voto aiuterà i devoti a comprendere in modo più profondo il significato dell’azione materna di Maria. Al Santuario arrivano tante domande di aiuto e suppliche; dal Santuario le persone ripartono rinnovate e ricche di speranza. Le domande di grazia si trasformano in doveroso ringraziamento.

La Madonna vi benedica dal suo Santuario e vi ottenga l’abbondanza delle sue grazie. Ave Maria
(Notizie tratte dal sito https://www.santuariodivinoamore.it).


martedì 3 maggio 2022

Bitti (NU) - Madonna del Miracolo

 

Madonna del Miracolo di Bitti

Già dal 29 settembre decine di cavalieri di Pattada partono per recarsi ad Osidda, riposare una notte e poi ripartire tutti insieme il 30 alla volta di Bitti, in un vero e proprio pellegrinaggio d’altri tempi, per raggiungere la Madonna del Miracolo e ricordare così la riappacificazione ottenuta grazie alla sua intercessione.

Scrisse Salvatore Bussu, l’ex parroco della chiesa, nel suo libro “Il miracolo”, dove racconta la profonda devozione della gente di Pattada per la loro Madonna.

“Da Pattada andavano a cavallo. Ogni gruppo innalzava uno stendardo. I cavalieri giungevano all’ora della messa maggiore e si fermavano davanti alla chiesa. La gente li attendeva con ansia e quando da lontano vedevano il polverone sollevato dai cavalli o sentivano lo scalpitio degli zoccoli esclamavano: “Sunu arrivanne sos caddos patzatesos”. Il richiamo per quella data è stato sempre fortissimo, a Pattada si ha molta devozione per la Madonna del Miracolo. Si andava al Miracolo per chiedere una grazia oppure per ringraziare dopo averla ricevuta. Quando ciò avveniva si andava al Miracolo per mantenere la promessa. Fin dai tempi antichi Bitti e Pattada legavano molto bene tra loro.”

Ma non è sempre stato così amichevole il clima tra le due città, infatti il primo miracolo la Madonna lo fece proprio mettendo pace tra le due cittadine di Pattada e Bitti. Questo è ciò che gli anziani raccontano e tramandano di generazione in generazione.


Si narra che ad un pastore di Pattada venne rubato il gregge di pecore. Dopo giorni e giorni di ricerche alla fine accusarono del furto un pastore di Bitti, trovato con le pecore rubate. In collera per essere stato derubato non solo si prese gli animali, ma rapì anche il ragazzo che li stava custodendo per chiederne alla famiglia il riscatto.


Mandò un suo messaggero per lo scambio, ma la famiglia lo uccise con un colpo d’ascia. Dopo questo affronto anche la famiglia di Pattada fece lo stesso con il ragazzo e la scia di sangue continuò di anno in anno in un odio che sembrava non aver mai fine, anzi si alimentava ogni volta di più.

Come sempre accade però nelle più belle storie romanzate è l’amore che vince sull’odio e anche qui l’amore fece breccia. Due giovani delle rispettive città si innamorarono.



A nulla valsero minacce e rimproveri. Entrambi si affidarono alla Madonna affinché le rispettive famiglie giungessero ad un accordo e grazie all’intercessione della Vergine così avvenne.

Il matrimonio tra le due famiglie di Pattada e Bitti si celebrò proprio davanti a quella Bella Signora che venne da quel giorno chiamata Nostra Signora del Miracolo, come pure la chiesa stessa.


Da allora ogni anno riconoscenti alla loro Madonna per la riconciliazione, gli abitanti delle due città si ritrovano in gruppi di cavalieri e di amazzoni con i costumi di Bitti e di Pattada per accompagnare il simulacro della Vergine esibendo gli antichi stendardi issati nell’arcione, verso la chiesa che sorge sul colle di Gorofai, coinvolgendo centinaia di giovani in costume che seguono a piedi il drappello di destrieri.

Famoso anche il miracolo di una bimba nata muta che passando davanti alla statua della Madonna del Miracolo di Bitti riprese inspiegabilmente a parlare (Articolo tratto da https://immaculate.one che ringraziamo).



domenica 30 gennaio 2022

Roma (RM) - Madonna del Pianto

Dolcissima Madre,
Madre forte, Madre nostra,
ieri e sempre, Tu piangi per le nostre falsità, le nostre ipocrisie, i nostri inganni.
Tu piangi per ogni creatura non amata, oltraggiata, disprezzata, prima che uccisa offesa nell’identità e nella dignità che è vera immagine e somiglianza di Dio.
Ti preghiamo Madre, volgi il tuo sguardo su di noi.
Permettici di sanare nelle tue lacrime il dolore profondo della nostra anima,
Di ritrovare nel tuo grembo immacolato la verità di forza di amore e di libertà dei nostri primi trenta giorni di vita, per essere veri, forti e sani.
Per essere figli che nel Padre per la Croce del Figlio e nello Spirito, come te, amano incessantemente. Amen


La storia della Madonna del Pianto inizia il 10 gennaio 1546, presso il palazzo dei Cenci, famiglia corrotta e potente del tempo. Per strada, sotto un piccolo arco sormontato dall’immagine di una Madonna con bambino, due giovani litigavano.
Uno, con un coltello, stava per uccidere l’altro che lo supplicava di non farlo. Il giovane armato lasciò cadere il coltello e fece per abbracciare il compagno, ma questo afferrò l’arma e lo uccise. Di fronte all’inganno e alla violenza, l’immagine della Madonna iniziò a lacrimare. Il pianto durò per molti giorni, vi assisterono migliaia di persone, tanto che il miracolo fu subito riconosciuto e si costruì l’attuale santuario dov’è custodita l’immagine. Dio è sempre presente, ma le persone, pur volendo, non riescono quasi mai a incontrarlo. Oggi le chiese sono vuote, le persone soffrono più che mai nella fede, nell’anima, nel sesso, nei nervi, nel corpo e nella mente. Il mondo è più violento e corrotto che al tempo dei Cenci. Anche la chiesa di S. Maria del Pianto era vuota e dimenticata quando, nel 1993, padre Angelo vi entrò con il consenso della sua congregazione dei padri Oblati di Maria Vergine, che ne aveva la custodia. Nel santuario, di cui è anche rettore, Padre Angelo ha continuato a svolgere il suo servizio di sacerdote, missionario, antropologo e scienziato, incontrando ogni giorno, per almeno 8 ore, persone di ogni cultura e religione. Grazie a Padre Angelo e alla continua espansione del movimento missionario da lui fondato in Italia e nel Sud del mondo, il santuario ha ripreso vita. Oggi è conosciuto in tutto il mondo e ogni settimana, prima della pandemia, veniva frequentato da centinaia di persone provenienti da Roma, dall’Italia, dall’Africa, dall’India e dal Sud America. Nella pandemia, le celebrazioni e gli approfondimenti continuano ad essere seguiti via internet da tutto il mondo.
Padre Angelo Benolli O.M.V.

La presenza di Padre Angelo in questo santuario non è casuale. La sua esperienza infatti è profondamente collegata al pianto della Madonna. Maria, infatti, non piange solo per gl’inganni e le violenze, ma specialmente perché nessuno ne ha mai visto e risolto le cause. Questa ignoranza non è colpa di nessuno. Abbiamo una cultura che da secoli esclude Dio e mette al centro l’uomo e la sua mente razionale. Non a caso, solo ai primi del ’900 si è scoperto che il 90% delle nostre energie sono nell’inconscio e determinano, con il loro modo d’essere, la mente cosciente. Ma la scienza non dice molto di più. Incontrando quotidianamente moltissime persone per 54 anni, Padre Angelo si è trovato a contatto con l’immensa sofferenza degli uomini che, senza colpa, sono pieni d’inganni e violenze e ha voluto trovare una soluzione. Per questo non si è adattato alla scienza senza Dio e senz’anima ed alla fede che non entra nei traumi dell’inconscio, ma, a costo di stare per anni da solo con Dio, nella carità, ha sviluppato il “Carisma di Sviluppo di vita e Missione”: una nuova e completa antropologia con cui cambia l’inconscio di Freud con l’Io potenziale e fa altre grandissime scoperte. Su questa base, racchiusa nei suoi libri, video e documenti tradotti in 35 lingue, ha anche creato le comunità di 5 famiglie e i “gemellaggi mondiali” tra famiglie italiane e famiglie povere del Sud del mondo. Grazie al Carisma, alle comunità e ai gemellaggi mondiali le persone entrano nel loro inconscio, vedono e risolvono con Dio i condizionamenti negativi, sperimentano finalmente scambi intensi e veri di vita in una comunione mondiale. Così si esce da ogni inganno e violenza e finalmente la Madonna sorride. (Antonella Casini)
_______________________________________________________________________
La chiesa di Santa Maria del Pianto ai Catinari è un luogo di culto cattolico del centro storico di Roma, situato nel rione Regola; rientra all'interno dei confini della parrocchia dei Santi Biagio e Carlo ai Catinari ed è sede di una rettoria affidata agli Oblati di Maria Vergine.

La chiesa presenta una pianta a croce greca tronca, essendo il braccio d'ingresso appena abbozzato. «Lo spazio è articolato da paraste scanalate a chiaroscuro con zoccoli dipinti a finto marmo nero, basi di travertino dipinte a finto marmo giallo (tranne le basi delle paraste prossime all'abside [...] di marmo) e capitelli in stucco di ordine corinzio; le nicchie delle cappelle laterali, scavate nei quattro piloni, erano destinate ad accogliere delle statue». Le volte a botte del transetto e del coro (il braccio d'ingresso infatti ha anche internamente una copertura a spiovente) sono semplicemente intonacate; sobri rilievi in stucco ornano le cornici secentesche dei pennacchi - vuoti - posti alla base della cupola, e la calotta semisferica della stessa, nella quale si aprono oculi ovali e che reca, al centro, un tondo con lo Spirito Santo, di Camillo Marini.
A ridosso della parete di fondo del braccio di ingresso, al di sotto della grande finestra semicircolare, si trova la cantoria lignea ottocentesca con balaustra scolpita, poggiante su mensole; essa ospita i resti, tra cui la cassa lignea neoclassica a forma di tempietto, di un organo a canne dotato di 12 registri, privo di tutto il materiale fonico. Lo strumento era stato costruito nel 1754 da Giovanni Antonio Alari e ricostruito nel 1817 da Filippo Priori. Addossato alla balconata è lo stendardo processionale della confraternita di Santa Maria del Pianto, dipinto nel 1699 da Francesco Simoncelli (allievo di Lazzaro Baldi) con la Madonna col Bambino in gloria (recto) e il Miracolo della Madonna del Pianto (verso). Al di sotto della cantoria, murato nella parete, vi è un pluteo cosmatesco musivo del XIV secolo, ornato con quattro archetti ogivali trilobati, originariamente nella chiesa di San Salvatore in Cacabariis. Delle otto epigrafi presenti sulla stessa parete, due provengono dalla chiesa di San Martino ai Pelamantelli.

Il transetto di destra ospita l'altare dedicato a Santa Francesca Romana, realizzato nel 1702 probabilmente su disegno di Filippo Tittoni, in sostituzione di quello precedente, che proveniva dalla scomparsa chiesa di Santa Cecilia de Pantaleis (sconsacrata nel 1560); dipinto a finto marmo, ospita la coeva tela attribuita a Lazzaro Baldi Madonna col Bambino tra i santi Francesco d'Assisi, Antonio di Padova e Francesca Romana; è affiancato dal monumento funebre di Pompeo Palmieri, progettato da Giovan Battista Mola e scolpito entro il 1650. Sul lato opposto vi è l'altare del Crocifisso, risalente al 1611-1612 e completato da Tittoni nel 1690; il gruppo scultoreo in marmi policromi del Calvario che costituisce la pala risale al 1703 ed è opera di Biagio Cibocchi, mentre il Gesù Crocifisso in cartapesta dipinta è del XV secolo e proviene dall'antica chiesa di San Salvatore; nella cimasa vi è un bassorilievo in stucco con Un angelo mostra il velo della Veronica. Ai lati, il monumento funebre di Luigi Zannini (a sinistra, 1642-1644, di Benigno Angiolini e Giovanni Pagni) e una lapide che commemora il privilegio concesso nel 1617 all'altare da papa Paolo V per le celebrazioni per i defunti.

L'abside semicircolare è interamente occupata dal presbiterio, delimitato da una balaustra marmorea disegnata da Giovanni Filippo Moretti nel 1772; al di sotto dei coretti laterali, trovano luogo due dipinti da papa Leone XI per la chiesa di San Martino ai Pelamantelli e trasferiti in Santa Maria del Pianto nel 1765: essi raffigurano rispettivamente Gesù che disputa con i dottori (a sinistra, 1603, di anonimo di ambito caravaggesco) e Gesù che appare a san Martino catecumeno (a destra, 1605, di Agostino Ciampelli). La parete curva è dipinta a grisaille con grandi candelabri e girali d'acanto entro due grandi quadri laterali su fondo dorato. L'altare maggiore è in marmi policromi, con ancona sorretta da quattro colonne dipinte ad imitazione dell'alabastro e ornata con statue di Angeli rispettivamente di Domenico Prestinari (sulla trabeazione) e di Domenico Fivizzani (a sostegno della corona). Al centro, l'immagine miracolosa della Madonna che allatta il Bambino Gesù, affresco del XV secolo incoronato nel 1643 dal capitolo vaticano (notizie tratte dal sito Wikiwand).


Visita il sito ufficiale dell'Associazione


Si ringrazia Simona e Fernanda per il dono dell'immaginetta, qui postata, e per quanto fanno per il bene dell'Associazione Italia Solidale . . .