martedì 12 settembre 2017

Prato (PO) - Assunzione della Vergine e la Sacra Cintola



La leggenda e il culto della Sacra Cintola attraverso le opere d'arte

A Prato è fortemente radicato il culto della Sacra Cintola, conservato nella città toscana: in questo articolo ripercorriamo la leggenda con le opere che, a Prato, la raccontano.

Osservando il Duomo di Prato, la cui elegante facciata a fasce in marmo bianco e verde domina la principale piazza della città, non si può fare a meno di notare l’originalissimo pulpito che orna l’angolo tra la facciata e il fianco destro, quello rivolto verso via Mazzoni. Questa particolare opera d’arte, che si deve all'estro di Donatello e di Michelozzo, e di cui occorrerà parlare più approfonditamente in un ulteriore articolo, fu realizzata tra il 1428 e il 1438 e la sua funzione era quella di accogliere il sacerdote durante un’occasione ben precisa: l’ostensione della reliquia della Sacra Cintola, oggi conservata all'interno del Duomo.

Il Duomo di Prato


Si tratterebbe proprio di quella cintura (per chi, ovviamente, vuol credere al mito) che abbiamo visto rappresentata in innumerevoli opere d’arte raffiguranti la cosiddetta Madonna della Cintola, iconografia nella quale la Vergine dona la propria cintura a san Tommaso. Un apocrifo, il Transitus Mariae dello Pseudo Giuseppe d’Arimatea, di cui avevamo parlato nel post dedicato alla Cappella Contrari di Vignola, narra che il santo, ricordato per la sua proverbiale incredulità che lo aveva portato a dubitare della resurrezione di Cristo, non aveva assistito, come gli altri apostoli, né alla sepoltura né all'assunzione al cielo di Maria: di conseguenza, quando gli altri apostoli gli raccontarono il miracoloso evento che aveva fatto assurgere la Vergine al Paradiso, Tommaso non volle dar loro alcun credito. Sarebbe stato quindi trasportato sul monte degli Ulivi: lì, la Madonna gli sarebbe apparsa e gli avrebbe donato la sua cintura come prova dell’Assunzione. A sua volta, san Tommaso avrebbe affidato la reliquia a un sacerdote, in cambio di una promessa: la cintola avrebbe dovuto essere tramandata di generazione in generazione.


Della cintola non si sarebbe saputo più niente per secoli: la tradizione ricominciò nel XII quando, a Gerusalemme, un mercante pratese, Michele Dagomari, sposò una ragazza del luogo, una certa Maria, che gli portò in dote la sacra reliquia, ricevuta dai genitori. Il mercante la portò con sé quando tornò a Prato, e la conservò gelosamente all’interno di una cassapanca sulla quale era solito dormire: la leggenda narra che due angeli, ogni notte, lo sollevassero nel sonno affinché non dormisse sopra alla cintola. Attorno al 1172 Michele Dagomari, poco prima di morire, volle far dono della cintola al proposto della pieve di Santo Stefano (ovvero il Duomo di Prato), un certo Uberto. Tutta la vicenda di Michele Dagomari è peraltro narrata in una predella dipinta da Bernardo Daddiall’incirca tra il 1337 e il 1338, oggi conservata presso il Museo Civico di Palazzo Pretorio a Prato: è quanto rimane in città di un polittico smembrato, originariamente conservato presso il Duomo di Prato.

Scene dalla predella con le Storie della Cintola di Bernardo Daddi (1337-1338 circa; Prato, Museo Civico di Palazzo Pretorio): a sinistra, Michele Dagomari sposa Maria; a destra, la suocera di Michele Dagomari gli consegna la Sacra Cintola.


Scene dalla predella con le Storie della Cintola di Bernardo Daddi (1337-1338 circa; Prato, Museo Civico di Palazzo Pretorio): a sinistra, gli angeli sollevano Michele Dagomari; a destra, Michele Dagomari consegna la Sacra Cintola al proposto di Santo Stefano. [. . .]

Si narra che dal momento in cui il mercante donò la cintola alla pieve, si verificarono eventi miracolosi che avevano per protagonista la reliquia, ed ebbe così inizio il culto della Sacra Cintola di Prato (o del “Sacro Cingolo”, che dir si voglia). L’Opera del Duomo di Prato ebbe dunque l’idea di far costruire un altare che conservasse la cintola, che in origine era probabilmente decorato con una scultura raffigurante la Madonna col Bambino, realizzata da Giovanni Pisano probabilmente nel primo decennio del XIV secolo: una splendida opera d’arte caratterizzata dall'intensa resa degli affetti tipica di Giovanni Pisano, qui evidente soprattutto nel tenero gesto del Bambino che accarezza il volto della madre.

Nel 1312 un ladro, Giovanni di Landetto detto Musciattino, tentò di rubare la cintola: l’episodio ebbe un epilogo tragico per il malcapitato (che fu condannato a morte), ed ebbe inoltre l’effetto di suggerire alle autorità pratesi l’idea di custodire la reliquia in un luogo più sicuro: si ipotizzò dapprima di collocarla nel transetto i cui lavori di realizzazione iniziarono attorno alla metà del Trecento, ma negli anni Ottanta dello stesso secolo si risolse di porla all'interno di una cappella che avrebbe dovuto essere costruita ex novo vicino al portale d’ingresso del Duomo. La cappella fu terminata nel 1390 e fu decorata tra il 1392 e il 1395 con un ciclo di affreschi di Agnolo Gaddi che raccontano la storia della Vergine e quella della Cintola: è proprio in questa cappella, progettata dall’architetto fiorentino Lorenzo di Filippo, che è ancor oggi conservata la reliquia, che fu qui trasferita il 4 aprile del 1395. All'interno della cappella fu spostata anche la statua di Giovanni Pisano (di cui si conserva anche una copia in gesso in una sala del Museo dell’Opera del Duomo di Prato).

La Cappella della Sacra Cintola nel Duomo di Prato

Nel frattempo, si poneva il problema del luogo in cui mostrare la cintola durante le ostensioni pubbliche, che fino alla metà del Trecento avvenivano sotto un portico di legno nelle vicinanze del campanile del Duomo. Nel 1357 uno scultore senese, Niccolò di Cecco del Mercia, fu incaricato di lavorare a un pergamo che fu terminato nel 1360 e quindi collocato sul fianco destro della cattedrale. Il pergamo di Niccolò del Mercia assolse alla sua funzione per circa settant'anni, quando si decise di realizzare un nuovo pulpito, quello realizzato da Donatello e Michelozzo e sormontato dal caratteristico baldacchino a ombrello che lo rende immediatamente riconoscibile. I rilievi che lo decoravano sono oggi tutti custoditi nel Museo dell’Opera del Duomo: quelli che osserviamo in piazza sono copie. E all’interno dello stesso museo possiamo osservare anche i pannelli del pergamo di Niccolò del Mercia, che raccontano la storia della cintola. I due pannelli principali raffigurano il Transito della Vergine, con la Madonna disposta sul letto, al centro della composizione, attorniata dagli apostoli, e il Dono della cintola a san Tommaso, che riceve la reliquia direttamente dalle mani della Vergine, apparsa in una mandorla portata in cielo dagli angeli. I due pannelli laterali raffigurano invece l’Incoronazione della Vergine e San Tommaso che affida la cintola al sacerdote.

Solennità e pacatezza sono le due principali caratteristiche dei rilievi di Niccolò del Mercia. Nella scena del Transito non vediamo moti di disperato dolore attraversare i volti degli apostoli: in molti assistono alla scena senza lasciar trasparire sentimenti, mentre altri pregano o rivolgono gli occhi al cielo. Stilemi quasi bizantineggianti connotano invece la scena del dono della cintola, con i serafini che trasportano la mandorla e gli angeli musicanti ai lati che si dispongono in modo simmetrico, rendendo partecipe di tale simmetria lo stesso san Tommaso. Malgrado i volumi realizzati in modo piuttosto grossolano e le proporzioni dei corpi spesso tutt'altro che armoniose, non mancano tuttavia certi particolari trattati con maggior cura: sono un esempio la decorazione del guanciale della Vergine, oppure i riccioli delle barbe dei personaggi lavorati col trapano, o ancora i panneggi a semicerchio tipicamente gotici. [ . . .]

Il vescovo di Prato Gastone Simoni mostra la Sacra Cintola nel Reliquiario del 1638. 
(Clicca sull'immagine per saperne di più sulla Sacra Cintola - Diocesi di Prato)

Ancor oggi, l’ostensione della Sacra Cintola rappresenta uno dei momenti centrali della religiosità pratese: i credenti si riuniscono in piazza del Duomo per assistere alla celebrazione del vescovo che mostra la reliquia dal pulpito. L’evento occorre cinque volte all'anno: a Natale, a Pasqua, il 1° maggio, il 15 agosto e l’8 settembre, giorno della Natività della Vergine, in occasione della festa della città di Prato, durante la quale l’ostensione rappresenta il momento culminante dell’evento. In tutti gli altri giorni dell’anno, è possibile ripercorrere la storia della cintola attraverso le opere d’arte conservate in città. Starà alla religiosità (e magari al buon senso) di ognuno credere o meno al potere taumaturgico di questa semplicissima striscia di lana di capra broccata in fili d’oro: ma è certo che da secoli la cintola rappresenta una tradizione su cui si è fondata l’identità anche culturale di una città bella e operosa come Prato. (Ringraziamo gli autori di questo articolo che sono: Federico Giannini e Ilaria Baratta, tratto dal sito https://www.finestresullarte.info/434n_prato-sacra-cintola-duomo.php)


La tavola dipinta da Ridolfo del Ghirlandaio nel 1508 è una delle poche opere d'arte che si è conservata integra, completa della sua ricca cornice, nello straordinario contesto per il quale è stata realizzata: il terrazzo interno di Maso di Bartolomeo nel Duomo di Prato. Tuttavia un lungo elenco di restauri, molti di questi documentati, si snoda con cadenze regolari fino ai giorni nostri: Il primo intervento a cura di Lodovico Buti avvenne già nel 1584, nel 1699 venne ridorata la cornice, la tavola venne restaurata di nuovo nel 1741 da Bartolomeo Lupinari e nel 1852 da Antonio Marini; infine l'ultimo intervento documentato è stato quello del restauratore Massimo Seroni del 1978. Il dipinto ad olio su tavola è centinato e raffigura la Vergine Assunta in cielo, su nubi sostenute da Cherubini, che consegna la Cintola a San Tommaso (massima reliquia ed icona pratese per eccellenza) coi Santi Agostino, Stefano, Caterina d'Alessandria, Lorenzo e Margherita in primo piano tutti intorno al sepolcro dal quale spuntano rigogliosi cespugli di rose. Lo sfondo terso del cielo illumina un paesaggio ideale ricco di particolari.

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