domenica 23 aprile 2017

Manfredonia (FG) - Maria Santissima di Siponto


L'icona di Siponto

Siponto, colonia romana, collegamento con l'Oriente, è sede di un'antica diocesi. La tradizione attribuisce a San Pietro la consacrazione del primo vescovo di Siponto, San Giustino; tra i suoi pastori c'è San Lorenzo Maiorano, parente dell'imperatore d'Oriente Zenone (474 - 491) e protagonista del racconto sulle apparizioni dell'Arcangelo Michele.

L'icona si conserva nel santuario di S. Maria Maggiore (oggi cattedrale della "nuova" Manfredonia). Il santuario sorge sulla via sacra Longobardorum che parte da Monte Sant'Angelo, accanto ai resti di una basilica paleocristiana che si fa risalire al vescovo Lorenzo; la tradizione locale riporta le origini della chiesa a S. Giustino (I secolo d.C.). 

L’unica data documentata è il 1117, anno della solenne consacrazione e della deposizione delle reliquie di San Lorenzo sotto l’altare maggiore. Molto dibattuta, tra gli studiosi, la questione sull'origine dell'edificio  fu probabilmente edificato tra XI e XII secolo sotto il vescovo Leone, usando anche materiali preesistenti: si sono trovati durante i recenti restauri (1973 e 1975) iscrizioni con il nome del vescovo committente Leone, degli artefici Acceptus e David, con la data 1039.

Foto tratta da Web
L'immagine della Madonna, su legno di cedro, è quella classica delle icone ispirate alla tradizione orientale.Già assegnata al XIII secolo, un restauro nel 1927 (a Roma per mano di Aronne Del Vecchi) ha trovato ai margini verticali del quadro, due fasce ornamentali con finissime figure di santi del più puro stile bizantino, facendola quindi molto più antica di quanto non si ritenesse (XI secolo). Si trovano cenni sul "Sacro Tavolo della Madonna di Siponto" nella Cronologia sarnelliana: intorno al 1300, l'arcivescovo Sasso aveva avuto "tenera divozione verso la Beatissima Vergine, la cui miracolosa effigie quivi frequentemente riveriva"; altro devoto all'icona fu l'arcivescovo fra Dionisio De Robertis (1554 - 1560). Dal Mastrobuoni si ricava che fu l'arcivescovo Francesco Rivera (1742 - 1777), nel 1745, a curare la rivestitura d'argento dell'icona. La comparsa dell'icona della Vergine risalirebbe al 1060 (?) e la tradizione va oltre: l'icona sarebbe stata donata dall'imperatore Zenone al vescovo Lorenzo dopo le apparizioni di San Michele. Per secoli, inoltre, circolò la leggenda, che l'immagine della Vergine fosse stata dipinta da S. Luca. Leandro Alberti, visitò la chiesa nel 1525.

Foto tratta dal Web

L'icona veniva portata in processione in occasione di calamità e avversità. Man mano questa pratica processionale si ripeté in una data fissa fino a trasformarsi in una vera e propria ricorrenza e festa patronale. Secondo alcuni, la festa che tuttora si svolge ebbe origine tra il 1840 e il 1841 dopo un'epidemia colerica e a partire dal 1849 fu spostata da settembre al 30 agosto. Nel 1872, durante la festa, il sacro tavolo subì gravi danni per un incendio.

Foto tratta dal Web
Ma l'icona non è l'unica immagine della Vergine che ci ha lasciato Siponto.
Nella cripta della basilica si venera la statua di una Madonna nera, detta la "Sipontina".


Secondo Alfredo Petrucci, nel 1927, era "abbandonata e ricoperta di polvere".
La Madonna è seduta in trono con il Bambino benedicente sulle ginocchia, gli occhi allargati in atteggiamento di doloroso stupore, e il mento coperto di strane macchie biancastre: lo scrittore la rinominò "Madonna dagli occhi sbarrati".
Il Petrucci collegò questo sguardo ad una leggenda narratagli qualche tempo prima da un vecchio popolano. Tanto, tanto tempo fa una giovinetta era stata violentata da un parente del vescovo dell'epoca davanti all'immagine della Madonna la quale "dal momento in cui fu consumata la nefandezza inaudita, si trasfigurò: i suoi occhi, già dolci e suadenti, furon visti diventare ogni giorno più grandi e finalmente restarono sbarrati come due finestre su una notte di procella". Anche la scomparsa di Siponto è collegata a questa leggenda. La ragazza cercò la morte, ma il mare la riportò a terra. Le sue lacrime allora si raccolsero formando il lago Salso che fu causa delle paludi che porteranno alla fine di Siponto.
Questo racconto ricorda quello di Catella, figlia di Evangelio, diacono della chiesa sipontina, stuprata dal nipote del vescovo Felice. La vicenda è riportata nelle lettere (fine del sec. VI) di S. Gregorio Magno al suddiacono Pietro, al notaio Pantaleone e al vescovo Felice, perché la colpa fosse punita.
La leggenda aggiunge ancora che le macchie bianche sul mento della statua, sono il resto del vomito prodotto dalla Vergine a causa del mare grosso durante la traversata da Costantinopoli a Siponto.
La "Sipontina", secondo quanto riferisce Serafino Montorio nel suo Zodiaco di Maria, fu rapita durante il sacco dei Turchi del 1620 ed in tale occasione due dita della mano furono recise. Ma, la Vergine, con materna premura "da se stessa tornossene à quelle spiaggie; e perché fosse assai più chiaramente conosciuta la sua protezione, e perciò con più fervore venerata, non posossi nella propria Chiesa, ma trà giunchi delle vicine paludi" . Ma se la "Sipontina" consentì a mani infedeli comunque di rimuoverla dal suo luogo, la stessa cosa impedì che facessero mani cristiane e quando i cittadini di Manfredonia, in un'epoca imprecisata, è ancora il Montorio che racconta, tentarono di trasportarla nella città, per imperscrutabile volere divino, "svegliossi nell'aria sì furiosa tempesta di grandini, pioggia, lampi, tuoni, e saette, che parea volesse inabissarsi il Mondo; perlocché spaventati cessarono da tale attentato". Sempre secondo il Montorio, i guardiani di pecore, capre ed altri animali godono di una speciale protezione da parte della Madonna, tanto che a Lei offrono "le primizie de' loro armenti". (Notizie tratte dal sito web http://www.garganonline.net/Siponto/SMaria.htm)

Maria Santissima di Siponto (link)

Jiesi (AN) - Madonna delle Grazie


Santuario della Madonna delle Grazie

In vicinanza alla chiesa di San Nicolò, un'edicola dove era affrescata l'immagine della Vergine venne trasformata in chiesa nel 1456, per ringraziare la Madonna di aver liberato la città dalla peste.
Nel 1470 l'immagine della Vergine venne di nuovo affrescata, e fu venerata nelle diverse invocazioni di "Santa Maria della Misericordia", "del Soccorso", “delle Grazie".
Per officiare la Cappella vennero chiamati i Frati Carmelitani che le costruirono attorno una chiesa dedicata alla Madonna del Carmine, che fu completata nel 1509.
Nel 1557 si ricorda un altro intervento della Madonna delle Grazie durante la liberazione di Jesi dalle truppe francesi ad opera di un manipolo di soldati guidati dal Gonfaloniere Roberto Santoni.
Due quadri collocati a fianco dell'affresco della Vergine, dipinti dal pittore veneto Angelo Zona nel 1843 e dallo jesino Luigi Mancini nel 1850, stanno a ricordare gli interventi miracolosi della Madonna contro la peste e contro i francesi.
Verso il 1619 venne eretto l'attuale campanile dalla caratteristica cuspide ottagonale, mentre dal 1751 al 1756 la chiesa venne completamente ristrutturata in stile barocco su disegno dello jesino Nicola Maiolatesi.

Sui cinque altari laterali sormontati da colonne e pregevoli decorazioni a stucco, vennero collocate altrettante tele raffiguranti i misteri della vita di Cristo, dipinte dal fabrianese Luigi Lanci, tranne la "Natività", realizzata nel 1759 dall'artista anconetano Nicola Bertucci. Anche la Cappellina venne riadattata al nuovo gusto artistico dell'epoca e secondo il progetto di Mattia Capponi, mentre le decorazioni della volta furono eseguite da Luigi Lanci.
I Carmelitani, che vennero allontanati nel periodo napoleonico e subito dopo l'Unità d'Italia, sono di nuovo custodi del Santuario delle Grazie, ospitati nell'attiguo convento completato nel 1624 con la costruzione del chiostro, caratterizzato dalle lunette affrescate con storie della vita di Santa Teresa d'Avila (http://www.comune.jesi.an.it/).

La Madonna delle Grazie rappresenta un segno importante di fede nella diocesi di Jesi; è il santuario al quale tutti si sentono legati. La sua posizione centrale nella città lo rende un luogo privilegiato per l’incontro con la Madre che accoglie, ascolta, ama, benedice. 

La presenza familiare dei padri carmelitani è un invito a sostare in preghiera, ad accostarsi al sacramento della Confessione, a partecipare alle diverse celebrazioni o semplicemente ad accendere una candela. 

Immagine di repertorio

La Festa della Madonna delle Grazie ricade la prima domenica dopo Pasqua (quest'anno il 23 aprile 2017) con una solenne processione



Il Manto della Madonna
 

La Madonna delle Grazie (di Jesi), ci spinge a scorgere nella maternità spirituale di Maria il riflesso della misericordia di Dio. Com'è noto, tale raffigurazione rientra infatti nella tipologia della "Madonna del manto" (v. immagine web): allargando il suo mantello Maria protegge i fedeli raccolti sotto di esso.
Con carità di madre si prende cura dei fratelli del suo Figlio che sono ancora pellegrini, posti fra pericoli e tribolazioni, fino a quando non siano condotti nella patria beata» (LG, 62).
A questo proposito, il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium (LG), ci ricorda che la Madre di Gesù «assunta in cielo non ha deposto questa sua funzione di salvezza, ma continua ad ottenerci i doni della salvezza eterna mediante la sua molteplice intercessione. Il manto protettivo di Maria ci ricorda dunque il suo essere, per così dire, "strumento" della misericordia di Dio, senza nulla togliere né aggiungere all'unica mediazione di Cristo: per questo «viene invocata nella chiesa con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, mediatrice» (LG, 62).
In tale contesto si potrebbe contemplare la sua protezione materna, espressa dal coprire con il manto, come un raggio della grande cura che Dio ha per il suo popolo, ben evidenziata nella Scrittura dal binomio misericordia/rifugio (cf. Sai 143,2)2.
Del resto, lo stesso Gesù si serve dell'immagine della chioccia che raduna i pulcini sotto le proprie ali: «Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!» (Mt 23,37).
In ambito liturgico, nella raccolta di Messe in onore della Beata Vergine Maria, per il tempo ordinario è previsto un formulario dal titolo Maria Vergine Regina e Madre della misericordia.
Nel prefazio troviamo sintetizzati gli aspetti sopra evidenziati: Maria è la regina clemente, esperta della benevolenza di Dio, che accoglie quanti ricorrono a lei nella tribolazione; è la madre di misericordia, sempre attenta alle invocazioni dei figli, perché ottengano da Dio l'indulgenza e la remissione dei peccati.
Osservando l'affresco della Madonna delle Grazie, anche la persona meno attenta ai particolari coglie la differenza di proporzione tra la Vergine e i fedeli che le stanno attorno: la figura di Maria emerge infatti in maniera monumentale su questa piccola folla.
Paradossalmente, anche questo particolare ci invita a contemplare la Vergine Maria solidale e maternamente unita al popolo di Dio ancora in cammino verso la patria celeste. Infatti, se «precede di gran lunga tutte le altre creature celesti e terrestri (...) allo stesso tempo resta congiunta, nella razza di Adamo, con tutti gli uomini bisognosi di essere salvati (...). Perciò è riconosciuta come membro sovreminente e singolarissimo della Chiesa, sua figura e modello eccellentissimo nella fede e nella carità» (LG, 53) (dal Sito web dei Padri Carmelitani http://ocarm.org/it/).


mercoledì 12 aprile 2017

Ischia (NA) - Maria SS.ma Addolorata



Chiesa della Santissima Addolorata
di Ischia

Nel 1873, la famiglia Morgioni donò alla diocesi d’Ischia il terreno e Mons. Francesco De Nicola vi fece costruire la chiesa, che con il contributo dei popolani della contrada intese dare solenne venerazione ad una popolare statua della Madonna Addolorata, custodita nella casa di una pia donna. Il simulacro, aveva fama d’operare molte grazie e secondo un’antica diceria popolare nove di queste sono attestate dai nei fuoriusciti spontaneamente sul volto della sacra immagine.
Il piccolo edificio a pianta rettangolare, ad una sola navata con abside circolare. All'esterno la facciata si presenta semplice e lineare con piccolo porticato; l’interno, piuttosto elegante, con pareti suddivise da due archi ciechi su lesene sormontate da una cornice molto aggettante, da cui si diparte un’ampia volta a botte (in buona parte dipinta) caratterizzata da una serie di lunette e finestroni. Nel fondo della navata, l’abside (anch’essa ricca di dipinti e marmi policromi) è introdotta da un’ampia arcata su lesene e accoglie l’altare di marmo costruito ex novo negli anni 70; una grande nicchia marcata da una pregiata cornice lignea, ospita la statua della Madonna Addolorata (http://www.ischia.it/chiesa-dell-addolorata).



Storia della Chiesetta

La Chiesa dell'Addolorata fu fondata nel 1873 e fu realizzato su un terreno di proprietà della famiglia Morioni. 



L’idea fu del Vescovo d'Ischia Mons. Francesco De Nicola d'Aversa (1872 - 1885), con il contributo del popolo, per ospitare al suo interno la statua della Madonna Addolorata, che era molto venerata nella zona della Mandra, per i miracoli che le venivano attribuiti. 


I lavori della chiesa durarono tre anni e nel settembre 1876 lo stesso vescovo la inaugurò. La chiesa ha una pianta rettangolare, con una sola navata ed abside circolare, decorata da marmi policromi.


La facciata è semplice, con un piccolo porticato che, attraverso degli scalini, dà accesso all'ingresso. L'interno è elegante, con le pareti suddivise da archi ciechi su lesene sormontate da una cornice aggettante, da cui si dipana una volta a botte.

All'interno della chiesa è da segnalare, in modo particolare, una statua in legno scolpito e dipinto, raffigurante l'Addolorata, che era di proprietà della signora Giuseppa Manzi. La signora viveva in prossimità della chiesa. Ogni sera le persone del posto si recavano in preghiera nella casa della donna per venerare la statua, che secondo la tradizione aveva operato diversi miracoli. E tra questi, in particolare se ne annoveravano sette, come i nei comparsi sul volto del simulacro.
AA.VV., Ischia svelata. Percorsi guidati nell’isola verde tra chiese, monumenti e dimore storiche, Associazione Albergatori dell’isola d’Ischia, 1995, p. 40; O. BUONOCORE, L'Addolorata, Tipografia Porto, 1926; A. DELLA RAGIONE, Le chiese d'Ischia, appunti, p. 6, ora editi da Clean, Napoli, 2005, p. 32. (articolo tratto dal sito web http://ischialaperladelgolfo.blogspot.it/)


giovedì 6 aprile 2017

Andria (BT) - La Madonna di Trimoggia


L'affresco della Madonna di Trimoggia

L'affresco della Madonna, "di greco pennello" in stile bizantino (ma molto rimaneggiata da cattivi restauri), raffigura Maria incoronata, seduta probabilmente in trono, e perciò chiamata "Kiriotissa" - Regina, nell'atto di presentarci in braccio il piccolo Gesù benedicente.

Scrive Mons. Triveri nella su citata relazione sulla sua visita pastorale 1694:
"Nel presbiterio l’altare maggiore si trova sotto un palco retto da sei colonne; come dossale ha un affresco della Beatissima Maria Vergine (non si nomina Gesù seduto sulle sue ginocchia come la vediamo oggi nell'affresco residuo) coperta da un velo e ornata da una cornice dorata."

Il Merra nel testo già citato parlando di questo affresco riporta alcune frasi del prevosto Giovanni Pastore vissuto nel Settecento, indi completa la storia con altre sue ricerche ed osservazioni:
"Alla distanza di circa cinquanta passi da questa voraggine, «si rinviene eretta quell’antica Chiesa, non molto grande, nè tanto piccola quanto si rappresenta, fabbricata alla gotica maniera, in cui si venera l’Immagine di Maria Santissima sotto il titolo di Trimoggia, nell’altare principale». Entro una vaga cornice dorata vedesi l’Immagine veneranda della Vergine, con il Bambino Gesù, seduto in seno. Questa Immagine fu ridipinta sopra una effigie del Crocifisso, in tempi posteriori, e precisamente nel 1776, quando fu rifatta la Cappella. Ciò ci viene assicurato dal Prevosto Pastore, il quale dice: «fu rinnovata la predetta Immagine della SS. Vergine, già consunta e sfigurata per l’antichità dei secoli».

L’antichissima Immagine aveva richiamata l’attenzione di Mons. D. Luca Antonio Fieschi dei Conti di Lavagna nel Genovesato, Vescovo di Andria, il quale quattrocento anni dopo il trasferimento in città dei Trimodiesi, "in testimonio di sua vivissima e specialissima devozione verso di tale effigie benedetta volle ristaurarne a proprie spese l’altare, come si rileva dalla lapide del 1776. ..."

[testo tratto da " L’immagine del SS. Salvatore in Santa Maria di Trimoggia" in "Monografie Andriesi" di E. Merra, Tip. Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol. I, pagg. 279-334,]

La lapide a lato, che ricorda due restauri della Chiesa (tra il 1566 e il 1582 l'uno, e nel 1776 l'altro), può essere così tradotta (testo esposto negli ambienti annessi al Santuario): "D.O.M. - Il priore Tarquinio, il clero e tutti gli abitanti, a causa delle sofferenze della guerra e per le incursioni dei briganti, dovettero lasciare le loro abitazioni e il tempio di S. Maria di Trimoggia nel XII secolo, per entrare in Andria.
Dopo 400 anni Luca Antonio Flisco, vescovo di questa Città [dal 1566 al 1582], fece restaurare l'altare sopra il quale era dipinta in modo «graecanice» (stile greco) l'immagine della Beata Vergine Maria.
Il clero di S. Nicola, demolito il vecchio tempio (sacellum), consumato ormai dagli anni, ne fece costruire uno nuovo, sotto la direzione dei reverendi Don Giuseppe Scamarcio e Riccardo Raimondi. (Anno) 1776"


Introduciamo lo studio con la scheda tecnica ufficiale del SS. Salvatore:

PROVENIENZA: probabilmente è opera di artista locale, di cui però non si hanno riferimenti, né attribuzioni di altre opere.
DATAZIONE: forse è contemporaneo delle altre immagini che si veneravano e che sono presenti ancora nei paesi vicini, Barletta e Cerignola, allorché tra queste cittadine vivo era lo scambio commerciale, culturale e ... devozionale. Perciò si può assegnare la data a cavallo tra i sec. XVI e XVII.
OPERA: di autore ignoto.
MATERIALE: pittura ad olio su tela.
DIMENSIONI: larghezza cm 112 x 157 di altezza, all'interno della cornice lignea.
CONDIZIONI: non buone; la pittura cade a scaglie, perciò i Dehoniani, attuali custodi del Santuario, hanno deciso di non rimuovere più il quadro per portarlo in processione.
RESTAURO: certamente ha subito vari restauri lungo i secoli. Il primo documentato è del 1711 per interessamento del vescovo di Andria mons. D. Nicola Adinolfi, come risulta dagli atti della sua visita pastorale alla chiesa di Trimoggia. L'ultimo risale al 1953. Infatti sul retro del quadro e precisamente sul telaio in orizzontale, si legge la scritta a pennarello: restaurato in Roma marzo 1953 dal dott. Vittorio Federici dei Musei Vaticani.
INTERESSE ARTISTICO: l'immagine colpisce per la sua umanità, soprattutto nel volto.
ISCRIZIONI: nessuna.

Scrive il dehoniano P. Vincenzo Pinto nel testo sotto citato:
"Non si hanno notizie certe circa la data di composizione di questa tela che ripropone l'immagine del SS. Salvatore secondo gli stilemi notati nei quadri precedentemente esaminati (a Barletta: __ in Sant'Agostino, __ in Santa Maria Maggiore, __ in San Giacomo Maggiore; a San Mauro Forte (MT): __ in Chiesa dell'Annunziata; a Margherita di Savoia: __ nella Chiesa Madre).
L'ipotesi più credibile è che risalga alla fine del XVI secolo, ipotesi avvalorata soprattutto dall'umanità del volto, ritratto secondo i canoni pittorici dell'Umanesimo - Rinascimento.
  
Mons. Andrea Ariano è il primo a notare (negli «Acta Sanctae Visitationis Episcopurum Andriensium») nella chiesa della Madonna di Trimoggia l'immagine del SS. Salvatore (1691), dipinto su tela, venerato in una cappella laterale."
[testo tratto da "Iconografia del SS. Salvatore" di Vincenzo Pinto, Tip. San Paolo, Andria, 1997, pag.65]
Scrive Mons. Triveri nella relazione sulla sua visita pastorale del 23 novembre 1694:
"A destra del presbiterio, nell'abside della navata laterale è posto l’altare dedicato al SS. Salvatore, sul quale c'è un dipinto molto venerato di Nostro Signore Gesù Cristo Salvatore; ha poche suppellettili e manca della predella, per cui si ordina di abbellire l’altare e realizzare la predella di accesso."
Nel 1906 dall'immagine del quadro fu fatta scolpire una statua d'argento, purtroppo trafugata il 6 dicembre del 1983. Ecco il racconto di mons. Merra nel testo sotto citato:
"Questa bella statua di grandezza naturale, con la tinta d’argento antico, le conferisce un non so che di austero, da incutervi un sacro rispetto. Essa ritrae fedelmente la pittura del famoso antico quadro, dagli Andriesi tanto venerato. Se questa riproduzione nuoce un poco alla concezione artistica, è stato però ben fatto a conservare fedelmente anche nella statua le caratteristiche della pittura. La statua in lastre d’argento è di più di 30 Kilogrammi di cesello a sbalzo, del costo di più di 10 mila Lire. È stata lavorata dal celebre scultore A. Bonchi in Milano, in disegno obbligato dell’arte sacra. La sua altezza è di metri 1,75, e la base tutto argento è più di 10 centimetri. ..."
[testo tratto da " L’immagine del SS. Salvatore in Santa Maria di Trimoggia" in "Monografie Andriesi" di E. Merra, Tip. Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol. I, pagg. 279-334,]



domenica 2 aprile 2017

Messina (ME) - Madonna Assunta


La Vara nel giorno della festa in onore della Madonna Assunta a Messina
La Vara è un grosso carro votivo dedicato alla Madonna Assunta e che viene portato in processione il 15 agosto di ogni a Messina. Il termine vara è la traslitterazione del termine bara dove giaceva il corpo della Dormitio Virginis (Madonna Dormiente). Essa è alta poco meno di 15 cm, è pesante circa 8 tonnellate e viene portata in processione da centinaia di fedeli tramite le gomene, corde lunghe poco più di 100 m tirate da due gruppi di persone che fanno capo a dei rispettivi capi-corda i quali, fino a qualche anno fa, indossavano delle magliette di colore blu e marrone, mentre adesso sono interamente di colore blu in onore della Madonna. L'origine di questa festa va ricercata in epoca preistorica alla quale risale un culto d'adorazione della Dea madre, origine della vita. Successivamente, in epoca poco precedente alla nascita di Cristo, nella città greca Zancle, antico nome di Messina, era presente un altro culto rivolto alla regine delle messi Demetra. Così in città nacque la devozione a Maria Madre di Dio e la tradizione dell'invio della Sacra Lettera di protezione costituisce di fatto il riferimento primigenio della fede dei messinesi alla Vergine. Ma la nascita vera e propria della festa con il culto della Vara avvenne nel 1535, anno in cui, con la riunione indetta dal Senato il 19 settembre, si stabilì di darsi compimento alla machina della Vara. Il 21 ottobre, in occasione dell'arrivo di Carlo V in città dopo le sue vittorie a Tunisi e a La Goletta contro Ariademo Barbarossa, essa fu messa definitivamente in funzione come carro trionfale ed in seguito trasformata in Machina devozionale raffigurante l'Assunzione della Vergine in Cielo. Francesco Maurolico, erudito scienziato e umanista messinese nel suo Sicanicarum Rerum Compendium del 1562 e Nicolò Iacopo D'Alibrando nella sua opera Il triompho il qual fece Messina nella Intrata del Imperator Carlo V del 1535 sono autori delle più antiche testimonianze al riguardo.

La composizione della Vara parte dalla piattaforma del cippo, sulla quale è rappresentata la Dormitio Virginis contornata da dodici apostoli, secondo la disposizione canonica della pittura bizantina, la Koimesis tou theothokou. Poco più sopra sono raffigurati i Sette Cieli, corrispondenti al Paradiso, che l'Anima della Madonna attraversa durante la sua ascensione, fedelmente alla concezione tolemaica dell'Universo (la Terra al centro e il Sole, la Luna e i pianeti ruotanti attorno ad essa), gli angioletti girano sorretti nei rispettivi raggi. Ancora più su si trova il globo terracqueo con le stelle fisse che sostiene altri angioletti i quali simboleggiano le Virtù Cardinali. Infine, nel punto più alto, la figura di Cristo che con la mano destra porge l'Alma Maria (l'Anima della Vergine) all'Empireo, dove avviene la diretta visione di Dio. In questa struttura sono evidenti anche l'influenza della Divina Commedia di Dante e l'intervento di Francesco Maurolico. Il progettista di essa dovrebbe essere stato Polidoro Caldara da Caravaggio il quale curò anche la costruzione degli archi trionfali eretti in occasione dell'arrivo di Carlo V a Messina. Fino al 1565 essa era munita di ruote che, a partire da quell'anno, furono sostituite da due pattini in legno, successivamente diventati d'acciaio per consentirne il trascinamento sul selciato bagnato. Nell'ambito del suo trascinamento durante il tragitto le figure assumono nomi tipici della cultura marinara, capicorda, vogatori, timonieri, macchinisti e comandante che liberano una forte energia al grido di Viva Maria, un tempo Viva la Madonna Santissima. 

A tal proposito L'Illustrazione popolare, nel 1888, annotava Quell'urlo selvaggio, clamorosissimo di tante migliaia di bocche fa venire la pelle d'oca, fa levare il cappello alle anime pie, fa scorgare una lacrima. Sempre di derivazione marinara è il verbo barare il quale è comunemente riferito allo spostarsi della nave quando scivola in acqua. Allo stesso modo la Vara scivola sull'asfalto bagnato. Nel corso degli anni a partire dalla sua nascita la cerimonia ha visto le visite di personaggi importanti e ha subito anche delle modifiche all'interno della sua organizzazione. Nel 1547 fu apprezza dalla viceregina baronessa di Mirto e nel 1571 da Don Giovanni d'Austria, al suo ritorno dall'impresa di Lepanto del 7 ottobre di quell'anno. All'epoca essa si montava e si allestiva in una piazzetta antistante la chiesa di S. Luca nei pressi della piazza S.Maria La Porta, attuale largo Sequenza. Nel 1591 Giuseppe Carnevale dottore in legge la definì Maravigliosa festività per l'altezza e grandezza sua e anco per l'ammirabile arteficio e magistero si tiene che sia, la più bella, e pomposa cosa del mondo. Nel '60 essa era alta 54 palmi (11,80 m) e animata da circa 150 personaggi. Placido Samperi nel 1644 né diede una descrizione sottolineando il dialogo tra Cristo e l'Anima della Madre in dialetto, successivamente scomparso: Si fa fermare di tanto in tanto, al suon di Pifferi e di Trombe, innanzi a Palazzi de Signori per dove passa, e né luoghi, dove le strade principali s'attraversano, e nel fermarsi colui, che su la cima rappresenta il Christo, con voce alta la cotal guisa all'Anima della Madre ragiona...

Il 14 agosto del 1681 in via Uccellatore (attuale Corso Cavour) in prossimità della chiesa dell'Annunziata (odierna chiesa di S. Antonio Abate) si verificò un incidente a causa della rottura della parte terminale della Vara. Sei personaggi, tra cui bambini che impersonavano gli angioletti, caddero senza però rischiare la vita. Nel 1695 la Vara fu ammirata dal Viceré Duca d'Osseda e nel 1698 dal Viceré Pietro Emanuele Colon Duca di Veraguos. Nel 1701 toccò al Viceré Don Giovanni Emanuele Fernandez Pacheco, marchese di Villena e Duca di Ascalona, assistere affacciato dalla finestra del convento della chiesa della SS. Annunziata dei Padri Teatini. Dal 1720 si è cambiato il giorno di festeggiamento, che dal 14 è divenuto il 15 agosto. 

Tra la fine del '700 e l'inizio dell'800 molti altri viaggiatori stranieri visitarono la processione, mentre a partire dal 1866 furono definitivamente tolte le figure umane nella rappresentazione dei personaggi e si adottarono le statue di legno e cartapesta al loro posto nella rappresentazione. Subito dopo il terremoto del 1908 la festa fu sospesa, soprattutto negli anni della Prima Guerra Mondiale, e ripresa nel 1929. Oltre all'usanza dei bambini che impersonavano gli angioletti, vennero meno anche le usanze di Cristo e della Vergine impersonati rispettivamente da un uomo e da un giovane ragazza scelta per sorteggio, sostituite anch'esse, come affermò il pittore Jean Laurent Houel nella sua opera Viaggio pittoresco nell'isola di Sicilia del 1784, da due statue di legno, del dialogo in dialetto tra i due e della questua della Vergine vestita del costume indossato sulla Vara e con l'aureola in testa nei giorni successivi alla processione.