lunedì 25 dicembre 2017

Natale del Signore


A Gesù bambino

La notte è scesa
e brilla la cometa
che ha segnato il cammino.
Sono davanti a Te, Santo Bambino!
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza.
Fa’ che il tuo dono
s’accresca in me ogni giorno
e intorno lo diffonda,
nel Tuo nome.
(Umberto Saba)



Natale

Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l’asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v’è pace nel cuore dell’uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?
(Salvatore Quasimodo)


Il Natale
Qual masso che dal vertice
di lunga erta montana,
abbandonato all’impeto
di rumorosa frana,
per lo scheggiato calle
precipitando a valle,
barre sul fondo e sta;

là dove cadde, immobile
giace in sua lenta mole;
né, per mutar di secoli,
fia che riveda il sole
della sua cima antica,
se una virtude amica
in alto nol trarrà:

tal si giaceva il misero
figliol del fallo primo,
dal dì che un’ineffabile
ira promessa all’imo
d’ogni malor gravollo,
donde il superbo collo
più non potea levar.

Qual mai tra i nati all’odio,
quale era mai persona
che al Santo inaccessibile
potesse dir: perdona?
far novo patto eterno?
al vincitore inferno
la preda sua strappar?

Ecco ci è nato un Pargolo,
ci fu largito un Figlio:
le avverse forze tremano
al mover del suo ciglio:
all’ uom la mano Ei porge,
che sì ravviva, e sorge
oltre l’antico onor.
Dalle magioni eteree
sgorga una fonte, e scende,
e nel borron de’ triboli
vivida si distende:
stillano mele i tronchi
dove copriano i bronchi,
ivi germoglia il fior.

O Figlio, o Tu cui genera
l’Eterno, eterno seco;
qual ti può dir de’ secoli:
Tu cominciasti meco?
Tu sei: del vasto empiro
non ti comprende il giro:
la tua parola il fe’.

E Tu degnasti assumere
questa creata argilla?
qual merto suo, qual grazia
a tanto onor sortilla
se in suo consiglio ascoso
vince il perdon, pietoso
immensamente Egli è.

Oggi Egli è nato: ad Efrata,
vaticinato ostello,
ascese un’alma Vergine,
la gloria d’lsraello,
grave di tal portato
da cui promise è nato,
donde era atteso usci.

La mira Madre in poveri
panni il Figliol compose,
e nell’umil presepio
soavemente il pose;
e l’adorò: beata!
innazi al Dio prostrata,
che il puro sen le aprì.

L’Angel del cielo, agli uomini
nunzio di tanta sorte,
non de’ potenti volgesi
alle vegliate porte;
ma tra i pastor devoti,
al duro mondo ignoti,
subito in luce appar.

E intorno a lui per l’ampia
notte calati a stuolo,
mille celesti strinsero
il fiammeggiante volo;
e accesi in dolce zelo,
come si canta in cielo
A Dio gloria cantar.

L’allegro inno seguirono,
tornando al firmamento:
tra le varcare nuvole
allontanossi, e lento
il suon sacrato ascese,
fin che più nulla intese
la compagnia fedel.

Senza indugiar, cercarono
l’albergo poveretto
que’ fortunati, e videro,
siccome a lor fu detto
videro in panni avvolto,
in un presepe accolto,
vagire il Re del Ciel.

Dormi, o Fanciul; non piangere;
dormi, o Fanciul celeste:
sovra il tuo capo stridere
non osin le tempeste,
use sull’empia terra,
come cavalli in guerra,
correr davanti a Te.

Dormi, o Celeste: i popoli
chi nato sia non sanno;
ma il dì verrà che nobile
retaggio tuo saranno;
che in quell’umil riposo,
che nella polve ascoso,
conosceranno il Re.
(
Alessandro Manzoni)



E’ nato! Alleluia!

È nato il sovrano bambino,
è nato! Alleluia, alleluia!
La notte che già fu sì buia
risplende di un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaie
suonate! Squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane!
Non sete, non molli tappeti,
ma come nei libri hanno detto
da quattromill’anni i profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Da quattromill’anni s’attese
quest’ora su tutte le ore.
È nato, è nato il Signore!
È nato nel nostro paese.
Risplende d’un astro divino
la notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino,
è nato! Alleluia, alleluia!
(Guido Gozzano)


martedì 10 ottobre 2017

Albano di Lucania (PZ) - Madonna delle Grazie


Santuario della Madonna delle Grazie

Probabile origine storica della  MADONNA DELLE GRAZIE
Da alcuni studi condotti dal prof. Pietro Borraro, e condensati nel capitolo "Albano di Lucania ", sappiamo che nel nostro territorio esistevano diverse chiese. Quella di San Leone, Cristoforo e Iconio e quelle in onore di Sant`Elena e San Martino.
L'esistenza di queste chiese fondate da San Guglielmo da Vercelli, e fondatore verso il 1130, della Badia di Montevergine. In seguito trasferitosi nelle nostre zone, molto probabilmente nel bosco di Gallipoli, e confermata da diverse bolle pontificie: Bolla di Celestino III (1197), Bolla di Innocenzo III (1209): quelle di Alessandro IV e Urbano IV. Si sono perse le tracce delle chiese di S. Elena e S. Martino: dopo la bolla di Celestino III, 1197, non vengono più citati i Santi Cristoforo e Leone ma S. Iconio ricorre con frequenza nei documenti dell'archivio parrocchiale di Albano anzi detta chiesa costituiva un pilastro della vita religiosa locale, forse perché nelle immediate vicinanze sorgeva un piccolo monastero fondato dai monaci di S. Guglielmo da Vercelli e la chiesa di S. Iconio rappresenta molto probabilmente l'attuale chiesa della Madonna delle Grazie, ciò è confortato anche da documenti dell'archivio parrocchiale dove scompare il nome di S. Iconio e sostituito da quello di Madonna delle Grazie.

Albano di Lucania (PZ)
RACCONTO POPOLARE SULL'ORIGINE DELLA MADONNA DELLE GRAZIE : Si narra che nel luogo ove vi è íl Santuario della Madonna delle Grazie, esisteva un lago di nome "Mastro cesare". Intorno ad esso vi erano delle abitazioni, un giorno venne al mondo in una famiglia che abitava in quel sito una bambina alla quale le fu dato il nome Grazia. Ella sin da piccola età pregava sempre, dando segni di santità. Le persone che abitavano in quel posto sapevano che nel lago viveva un drago molto feroce. Quel posto era comandato da un cavaliere il quale aveva dato ordine che ogni anno bisognava sacrificare un bambino e darlo in pasto al drago per tenerlo buono. Intanto Grazia era cresciuta e questa consuetudine non le piaceva affatto.
Il cavaliere un giorno si ammalò e ordinò ai suoi sudditi dì contattare Grazia affinché attraverso le sue preghiere potesse guarirlo. Grazía contattata accettò a condizione che il cavaliere togliesse quella consuetudine di far sacrificare un bambino per il drago, e che facesse uccidere lo stesso. Il cavaliere accettò la richiesta di Grazia la quale nel frattempo attraverso le sue preghiere lo aveva guarito. Rimessosi diede ordine ai suoi sudditi di prosciugare il lago, e così il drago feroce venne allo scoperto e fu ucciso. Dopo un po' di tempo Grazia si ammalò e di li a poco mori. Il cavaliere fu molto addolorato per una così grave perdita. E poiché considerava Grazia una santa per segno di riconoscenza fece costruire una cappella dove doveva essere seppellita. Quella cappella da quel giorno ha preso il nome di Madonna delle Grazie.

Testo tratto da "Tra storia e leggenda: alla scoperta dei luoghi sacri di Albano di Lucania"
a cura di M. Cioffredi


giovedì 28 settembre 2017

Abano Terme (PD) - Madonna della Salute di Monteortone


Santuario di Monteortone

Il Santuario della Madonna della Salute di Monteortone si trova a ridosso dell’omonimo colle, in posizione sopraelevata rispetto alla strada, nei pressi di Abano Terme. Secondo la tradizione l’origine del santuario risale al 1428, quando un soldato di nome Pietro Falco si ritirò in preghiera in questo luogo e vide la Madonna, che gli promise la guarigione di vecchie ferite alle gambe se si fosse bagnato con l’acqua di una vicina fonte. Guarito miracolosamente, il protagonista della vicenda rinvenne tra i sassi una tavola dipinta raffigurante la Vergine con Gesù Bambino e ai lati San Rocco e Sant'Agostino. Diffusasi la notizia del miracolo, un numero sempre maggiore di devoti iniziò a visitare la località, mentre alla Vergine di Monteortone si attribuiva anche la rapida fine della pestilenza che in quel periodo aveva colpito Padova.

La grotta dell'acqua calda miracolosa di Pietro Falco

Per volontà del vescovo fu realizzato un piccolo oratorio dove fu collocato il dipinto ritrovato da Pietro. Poco tempo dopo un famoso predicatore, Fra’ Simone da Camerino, volle costruire la prima chiesa e un convento i cui frati avrebbero custodito la fonte, l’immagine sacra e il ricordo del miracolo: nacque così una nuova congregazione religiosa, gli Agostiniani della Beata Vergine di Monteortone. 

La chiesa inglobò l’originario oratorio e fu consacrata nel 1435; rovinata da un incendio, fu riedificata più grande su disegno di Pietro Lombardo e riconsacrata nel 1495. Oggi si presenta come un’imponente costruzione a tre navate, a croce latina, con una facciata tripartita in cui spicca un grande portale barocco in pietra bianca, opera di Matteo Allio (1667). 

Sul retro, a sinistra, si trova l’alto ed elegante campanile in stile gotico caratterizzato da un tetto a cuspide. A destra è visibile il luogo della guarigione di Pietro Falco: una piccola grotta, oggi in muratura, a cui si accede da una scaletta, all'interno della quale i pellegrini possono attingere l’acqua (calda) ritenuta miracolosa.


Il Santuario con il campanile di Monteortone

Diverse opere d’arte votive furono trafugate dal santuario quando il convento degli Agostiniani venne soppresso per decreto napoleonico (1810), tuttavia nella chiesa si sono conservate una raffinata acquasantiera in marmo di Giovanni Minello e una Madonna con Bambino attribuita al pittore Jacopo Parisati di Montagnana (fine XV secolo). L’opera pittorica più notevole della chiesa è il grande affresco dello stesso Jacopo da Montagnana che decora l’abside chiuso in alto da una volta a crociera. Al centro è raffigurata l’Assunzione di Maria in Cielo, a cui è dedicata la chiesa, con gli apostoli che assistono stupiti all’evento; sulle pareti laterali la Nascita della Vergine e l’Apparizione della Madonna a Pietro Falco (opera quest’ultima caratterizzata da un’ambientazione molto realistica del paesaggio euganeo). 
L’altare maggiore è intarsiato con marmi policromi (1683). Un deambulatorio permette ai pellegrini di passare dietro l’altare e di ammirare la venerata immagine mariana. Le due navate laterali si chiudono con cappelle che ospitano due tele del ‘500-‘600: “Cristo Risorto che appare alla Maddalena” di Giovanni Battista Bissoni e “Crocifisso tra i Santi Agostino e Girolamo” di Palma il Giovane. Espropriato e a lungo tenuto chiuso, il luogo è stato riaperto al culto all’inizio del XX secolo; nel 1925 il santuario mariano è stato elevato a parrocchia. L’attiguo ex convento agostiniano presenta un vasto chiostro con vera da pozzo originale del XVI secolo. 
Dopo essere stato utilizzato come casa di cura, ha ospitato un istituto teologico dei Salesiani dal 1937 al 1970. 
Attualmente l’edificio, non più legato al santuario, è un albergo termale gestito dalla stessa famiglia salesiana (Articolo tratto dal sito web http://www.collieuganei.it/chiese/ santuario-monteortone/).

Storia dell'Apparizione della Madonna



lunedì 25 settembre 2017

Barletta (BT) - Maria SS. dello Sterpeto


Dove ora sorge il maestoso e moderno Santuario diocesano di Maria SS. dello Sterpeto, a circa tre chilometri sulla via che da Barletta porta a Trani, esisteva, sin dal Medioevo, un’antica chiesetta, che, per tradizione, si ritiene facesse parte di un modesto cenobio di monaci Basiliani.
Il più antico documento attestante la presenza in zona “Sterpeto” di una chiesa dedicata alla Madre di Dio è del 1215. In esso il Papa Innocenzo III confermava all'Arcivescovo di Trani la giurisdizione sul villaggio dello Sterpeto.
Un secondo documento risale al 1249: si tratta di una lapide in marmo, attualmente affissa sulla parete sinistra dell’abside del vecchio Santuario. È la testimonianza della presenza allo Sterpeto di una comunità di Benedettini di Monte Sacro sul Gargano. 
A questi subentrarono i Cistercensi verso il 1258. Ma in seguito alla loro partenza nel 1374 la chiesa andò lentamente in rovina. Sopravvisse solo una cappella rurale: lo Sterpeto si ridusse ad un’azienda agricola, mentre il borgo veniva raso al suolo dal condottiero Renzo da Ceri, a servizio del Re di Francia, nel 1528.
Nella seconda metà del ‘500 la situazione cominciò a migliorare con la venuta dei Frati Minori Francescani e, dopo questi, dei Benedettini di Montecassino.
Dal 1670 la chiesa di S. Maria dello Sterpeto venne affidata al clero secolare dalla Congregazione dei SS. Apostoli di Roma.
Una volta proclamata la Madonna dello Sterpeto Patrona e speciale Protettrice di Barletta nel 1732, come riconoscimento di aver risparmiata la città dal terribile terremoto di quell’anno, la vecchia chiesa, ridotta ormai a una fatiscente cappella, venne demolita per far posto ad un nuovo edificio, che corrisponde al vecchio Santuario, attualmente in via di accurato restauro.

Nuovo Santuario della Madonna dello Sterpeto 

Nella seconda metà del ‘700, per interessamento di una Deputazione di cittadini barlettani, furono realizzati parecchi lavori, che conferirono al sacro edificio l’aspetto di un vero santuario: due altari laterali dedicati a S. Ruggero e alla S. Croce, compatroni della città; la spalliera in marmo policromo, nella quale dal 1777 troneggia la sacra Icona della Vergine; la cupola elevata in asse con l’altare maggiore; l’arco di trionfo come ingresso al violone che, dalla statale 16, conduce al Santuario: sotto la riproduzione in pittura della immagine della Madonna si legge una vibrante dedica che ha tutto il sapore di un affidamento.
Nel fervore dei festeggiamenti per il secondo centenario (1732-1932) della proclamazione della Madonna dello Sterpeto a Protettrice della città, fu progettato e costruito un monastero accanto al Santuario, per accogliere il ritorno dei Padri Cistercensi. I Padri vennero, ma la loro presenza durò appena quindici anni.
Nel 1951 i Padri Giuseppini di Asti accettarono la direzione del Santuario, avviando nuove realizzazioni strutturali e iniziative pastorali.
Intanto si avvertiva la necessità di un tempio che contenesse il numero sempre crescente dei pellegrini. Nel 1968 si dava inizio alla costruzione del “nuovo Santuario”, che veniva consacrato solennemente il 5 settembre 1977 dall'arcivescovo della Diocesi, Mons. Giuseppe Carata.
L’edificio, pur con la sua capacità di oltre tremila fedeli, non perde una particolare carica di misticismo: l’attenzione è concentrata verso la stele-trono in cui è esposta l’Immagine della Vergine.

Già eretto a parrocchia nel marzo 1969, nel corso degli anni successivi si è arricchito di artistici elementi decorativi. All'esterno: una torre campanaria, alta e svettante, dotata di ben nove campane e di una croce che di notte si illumina, come stella polare indicante la rotta della fede verso cui tendere; un monumento a S. Giuseppe Marello, Fondatore dei Giuseppini e a S. Pio da Pietrelcina; campi sportivi per l’oratorio parrocchiale e sistemazione di un giardino per una sosta riposante dei pellegrini. All'interno: due mosaici sulla parete di fondo, raffiguranti misteri della vita di Maria, e uno nella cappella del Santissimo; stupende vetrate istoriate che rendono l’interno del tempio come un catechismo aperto. Nei locali sotterranei è stato allestito un museo della devozione popolare verso la Vergine, unito alla sala degli ex voto.
Oggi il Santuario dello Sterpeto, con le sue numerose iniziative pastorali, grazie al generoso lavoro dei Padri Giuseppini, è senza dubbio un grande centro di spiritualità e di preghiera, meta di migliaia di fedeli che vi accorrono per la celebrazione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, per giornate di ritiro e incontri, per ascoltare una parola amica nelle difficoltà della vita, soprattutto per deporre nel cuore della “Mamma bella” i segreti e le lacrime dell’anima e chiedere fiduciosamente grazie e protezione.

Link sito ufficiale del Santuario


Canto tradizionale barlettano
in onore della Patrona della Città


1 - Lassam a vie vecchie
pgghiam a via nov,
sciam a trué a Maria
andò s trov.


Ritornello: Evviva Maria
Maria, sempre evviva
evviva Maria e chi la creò.

2 - Ielz l'occh o ciel
vat na stell:
Maria dello Sterpeto
quenn si bell! Rit.

3 - Maria dello Sterpeto
quenn si bell
e tu du munn sì
nà Virginell. Rit.

4 - Maria dà feccia broun
sì chiù chiara della loun,
chiù chiara di li stell:
Oh, Maria, quenn sì bell! Rit.

5 - Maria dello Sterpeto, cu Figgh tou Gesù,
a tutt i cristian
quent grezi cha fai tou! Rit.

6 - Lassat i cas vost,
i cas abbandunat,
sciat a truè a Maria dello Sterpeto. Rit.

7 - Ind a chiss Luch sent
Maria ié appers
e chiù glorios a noi
cha nen potess iess. Rit.

8 - Sop nu bell iervr
stè nu bell ram
e cudd ié Maria
cha chiam tutt li cristian. Rit.

9 - E quanta ggend stav
e quenn n'avenz:
parav cha ng foss na concorrenz. Rit.

10 - Maria dello Sterpeto
tu sì la Protettreic,
cu l'uggh d chessa lemb ng a bndeic. Rit.

11 - Vneit tutt quent
ceic, mout e struppiat
cha v guarisc Maria delo Sterpeto. Rit.

12 - Marei, Memma mai,
t'apprsent l'elma mai,
t l'apprsent a tai
o Maria, preigh p mai. Rit.

13 - Maria dello Sterpeto
t veng a ringrazié
cha ng a dat la salout d vnirt a vsté. Rit.

14 - Stett bon, Madonna mai,
cré matein ng vdeim,
c nen ngì vdeim cha
ngì vdeim all'Eternità. Rit.



martedì 19 settembre 2017

Notre Dame de la Salette - Francia, La Salette - Fallavaux


Nostra Signora de La Salette
19 settembre
Il 19 settembre 1846 a La Salette, nel cuore delle Alpi francesi, la Vergine Maria apparve a due pastorelli poco più che adolescenti, Mélanie Calvat e Maximin Giraud. Le sue parole e il suo atteggiamento mesto costituirono un invito alla conversione, tramite il rispetto del giorno festivo e l’opposizione alla bestemmia. Dopo cinque anni d’indagini, il 19 settembre 1851, monsignor de Bruillard, vescovo di Grenoble, emanò il decreto con cui l’apparizione era approvata. Sul luogo del fatto prodigioso venne presto costruita una basilica, dove la Madonna è onorata come “riconciliatrice dei peccatori”.

Nella linea delle apparizioni autentiche

La Madonna lungo i secoli è apparsa molte volte, lasciando messaggi, incitando alla preghiera ed al pentimento dei peccati. Per lo più i destinatari di tali apparizioni sono stati veggenti o persone di umili condizioni e di animo innocente, quasi a garanzia della veridicità degli eventi che si verificavano. Così fu, solo per citare alcune tra le più famose e ritenute autentiche, per l’apparizione nel 1531 di Guadalupe in Messico a san Juan Diego Cuauhtlatoatzin, un indio analfabeta; per quella di Lourdes nel 1858 a santa Bernadette Soubirous; per quella di Fatima nel 1917 ai tre pastorelli Giacinta, Francesco e Lucia. 
Ma dodici anni prima delle apparizioni di Lourdes, così conosciute nel mondo, la Madonna era già apparsa nella stessa Francia a La Salette, località del dipartimento dell’Isère, nel cuore del circo delle Alpi francesi, in cui scorre il fiume Drac, a circa 1800 metri sul livello del mare.

I veggenti

Come successe e sarebbe succeduto in seguito per altre apparizioni, la Vergine si è incontrata con due pastorelli: Mélanie Calvat, di circa 15 anni, e Maximin Giraud, undicenne. Erano molto poveri sia economicamente, sia culturalmente (nessuno dei due era mai andato a scuola, né al catechismo) e trascurati negli affetti.
Mélanie Calvat, o Mathieu-Calvat, viveva presso i contadini dei dintorni di Corps, paese in cui era nata il 7 novembre 1831. Collocata a servizio come pastorella, ritornava in famiglia solo nell’inverno, quando si soffriva la fame e il freddo: per questo maturò un carattere introverso e divenne timida e chiusa, di poche parole; rispondeva molte volte solo con dei sì o dei no.
Maximin Giraud, anch’egli nato a Corps il 26 agosto 1835, era invece molto vivace: trascorreva il suo tempo libero correndo con il suo cane Loulou e una capretta. Rimasto orfano di madre a diciassette mesi, preferiva stare fuori casa, lontano dalla sua matrigna. 


Mélanie e Maximin fanno amicizia

Verso la metà di settembre del 1846, un contadino delle alture Ablandins, Pierre Selme, aveva il suo pastorello ammalato: quindi scese a Corps dal suo amico Germain Giraud a chiedere in prestito per alcuni giorni il figlio Maximin. Nonostante il padre avesse affermato che il ragazzo fosse troppo distratto per fare il pastore, glielo concesse, a partire dal 14 settembre.
Il 17 settembre conobbe sui pascoli Mélanie Calvat, con la quale tentò di chiacchierare, anche se la ragazza non ne aveva voglia. Comunque, dopo aver scoperto di essere nativi entrambi di Corps, decisero di venire il giorno seguente sullo stesso pascolo.



19 settembre 1846

Quindi il sabato 19 settembre 1846 salirono di buon’ora i versanti del monte Planeau, al di sopra del villaggio di La Salette, guidando ognuno quattro mucche a pascolare. Dopo una mattinata calma di pascolo, a mezzogiorno, al suono dell’Angelus della campana del villaggio sottostante, pranzarono con pane e formaggio e bevvero l’acqua fresca della “fontana degli uomini”, detta così per distinguerla da quella per le bestie; vennero poi raggiunti da altri pastorelli che controllavano altri bovini più a valle.
Dopo il pranzo Mélanie e Maximin si divisero dagli altri: attraversato un ruscello, si stesero sull’erba e, contrariamente alle loro abitudini, si assopirono al tepore del sole di fine estate. Svegliatisi di botto con il pensiero delle mucche che si erano allontanate, le ritrovarono nell’altro versante e cominciarono la discesa.


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venerdì 15 settembre 2017

Taranto (TA) - Maria SS. Addolorata c/o San Domenico


Chiesa di S. Domenico - Taranto
Il Culto di Maria SS. Addolorata a Taranto

La devozione Mariana del popolo tarantino è indiscutibile e ne sono prova i tanti titoli con cui la Madre di Dio viene da esso venerata: Madonna del Carmine, del Rosario, Immacolata ecc.

E' però il momento in cui Maria è "Addolorata" quello che suscita maggior devozione, commozione ed affetto, quello che raccoglie attorno a se il maggior numero di tarantini, sia tra coloro che hanno fatto la scelta di fare vita confraternale che tra la popolazione.

Epicentro del culto alla B.V. Addolorata a Taranto è la Chiesa di S. Domenico Maggiore nel centro storico, proprio alle porte della città, provenendo dall'autostrada. Qui ha sede la Confraternita della Addolorata e di San Domenico che, sin dalla sua fondazione avvenuta il 24 Aprile 1777, e grazie all'impulso di predicatori Serviti giunti da Manduria, si è dedicata a diffondere il culto ai Dolori di Maria SS.

Nell'ultima cappella a sinistra, guardando il Presbiterio, su un altare riccamente decorato, è allocata in una teca la Sacra Immagine della B.V. Addolorata, meta di continue visite di fedeli in tutti i giorni dell' anno. La Vergine è rivestita di un abito nero e dello stesso colore è il manto che la copre "dal capo insino al piede" (così come recita una delle strofe del Settenario alla Addolorata di Molfetta); il manto e l' abito sono stretti all'altezza della vita da una cintura con ricami argentei. Ha nella mano destra un fazzoletto finemente ricamato, mentre con la sinistra regge un cuore di colore rosso, trafitto da un pugnale in argento.


Oltre alle celebrazioni liturgiche del periodo Quaresimale, che hanno come epilogo la famosissima processione della Addolorata che esce a mezzanotte tra il Giovedì ed il Venerdì Santo, in occasione della solennità liturgica del 15 settembre, si svolge il Settenario nei sette giorni precedenti e la domenica successiva (III domenica del mese) la processione con la stessa Sacra Immagine della Settimana Santa, rivestita però con un abito più riccamente ricamato e con una corona in argento sul capo. Il cuore trattenuto tra le dita della mano sinistra non è più rosso ma anch'esso in argento.

Contrariamente al Venerdì Santo, all'uscita la processione non si avvia per il pendio di S. Domenico, a destra della lunga scalinata della Chiesa, ma svolta a sinistra per via Duomo, giungendo fin quasi al ponte girevole e ripiegando per la Marina da cui, attraverso piazza Fontana e successivamente il pendio di S. Domenico (questa volta in salita) raggiunge nuovamente la Chiesa. Attualmente la processione esce alle ore 19,00 circa per compiere il suo itinerario in tre ore. Per un decreto di Mons. Guglielmo Motolese (dal 23 settembre 1957 al 18 novembre 1961 Amministratore Apostolico e successivamente Arcivescovo di Taranto dall'11 febbraio 1962 al 21 novembre 1987) la processione settembrina dell'Addolorata fu sospesa (direi eliminata) per una ventina di anni. Fu ripristinata nel 1976 e fino al 1992 l' uscita è sempre avvenuta alle ore 10,00 del mattino, con ritirata intorno alle ore 13,00.

Madonna Addolorata
Presso la Chiesa del Carmine di Taranto
Nella Chiesa del Carmine, situata nella zona nuova di Taranto, vi è un'altra venerata Sacra Immagine della Addolorata, appartenente alla Arciconfraternita di Maria SS. del Carmine, che chiude la processione dei Misteri che esce il Venerdì Santo alle ore 17,00. La statua della Madonna appare a prima vista del tutto simile al quella di S. Domenico, ma differisce da questa, pur essendo vestita alla stessa maniera, perché ha invece il fazzoletto ricamato nella mano sinistra e regge con la destra un cuore rosso anch'esso trafitto da un pugnale.

Al contrario delle statue dei Misteri, presenti nella chiesa ma custodite in teche a muro, chiuse da vetri smerigliati che ne impediscono la vista, quella della B.V. Addolorata è esposta alla venerazione dei fedeli in tutti i giorni dell' anno, ed è allocata in una teca che si trova in una "cappelletta" a destra della entrata, subito dopo quella ben più ampia in cui trovasi la SS. Eucarestia.

(Testo a cura del dott. Francesco Stanzione dal sito web http://lamiasettimanasanta11b1a.blogspot.it/).

Stemma della Confraternita

Link collegati:
I sette dolori di Maria

martedì 12 settembre 2017

Prato (PO) - Assunzione della Vergine e la Sacra Cintola



La leggenda e il culto della Sacra Cintola attraverso le opere d'arte

A Prato è fortemente radicato il culto della Sacra Cintola, conservato nella città toscana: in questo articolo ripercorriamo la leggenda con le opere che, a Prato, la raccontano.

Osservando il Duomo di Prato, la cui elegante facciata a fasce in marmo bianco e verde domina la principale piazza della città, non si può fare a meno di notare l’originalissimo pulpito che orna l’angolo tra la facciata e il fianco destro, quello rivolto verso via Mazzoni. Questa particolare opera d’arte, che si deve all'estro di Donatello e di Michelozzo, e di cui occorrerà parlare più approfonditamente in un ulteriore articolo, fu realizzata tra il 1428 e il 1438 e la sua funzione era quella di accogliere il sacerdote durante un’occasione ben precisa: l’ostensione della reliquia della Sacra Cintola, oggi conservata all'interno del Duomo.

Il Duomo di Prato


Si tratterebbe proprio di quella cintura (per chi, ovviamente, vuol credere al mito) che abbiamo visto rappresentata in innumerevoli opere d’arte raffiguranti la cosiddetta Madonna della Cintola, iconografia nella quale la Vergine dona la propria cintura a san Tommaso. Un apocrifo, il Transitus Mariae dello Pseudo Giuseppe d’Arimatea, di cui avevamo parlato nel post dedicato alla Cappella Contrari di Vignola, narra che il santo, ricordato per la sua proverbiale incredulità che lo aveva portato a dubitare della resurrezione di Cristo, non aveva assistito, come gli altri apostoli, né alla sepoltura né all'assunzione al cielo di Maria: di conseguenza, quando gli altri apostoli gli raccontarono il miracoloso evento che aveva fatto assurgere la Vergine al Paradiso, Tommaso non volle dar loro alcun credito. Sarebbe stato quindi trasportato sul monte degli Ulivi: lì, la Madonna gli sarebbe apparsa e gli avrebbe donato la sua cintura come prova dell’Assunzione. A sua volta, san Tommaso avrebbe affidato la reliquia a un sacerdote, in cambio di una promessa: la cintola avrebbe dovuto essere tramandata di generazione in generazione.


Della cintola non si sarebbe saputo più niente per secoli: la tradizione ricominciò nel XII quando, a Gerusalemme, un mercante pratese, Michele Dagomari, sposò una ragazza del luogo, una certa Maria, che gli portò in dote la sacra reliquia, ricevuta dai genitori. Il mercante la portò con sé quando tornò a Prato, e la conservò gelosamente all’interno di una cassapanca sulla quale era solito dormire: la leggenda narra che due angeli, ogni notte, lo sollevassero nel sonno affinché non dormisse sopra alla cintola. Attorno al 1172 Michele Dagomari, poco prima di morire, volle far dono della cintola al proposto della pieve di Santo Stefano (ovvero il Duomo di Prato), un certo Uberto. Tutta la vicenda di Michele Dagomari è peraltro narrata in una predella dipinta da Bernardo Daddiall’incirca tra il 1337 e il 1338, oggi conservata presso il Museo Civico di Palazzo Pretorio a Prato: è quanto rimane in città di un polittico smembrato, originariamente conservato presso il Duomo di Prato.

Scene dalla predella con le Storie della Cintola di Bernardo Daddi (1337-1338 circa; Prato, Museo Civico di Palazzo Pretorio): a sinistra, Michele Dagomari sposa Maria; a destra, la suocera di Michele Dagomari gli consegna la Sacra Cintola.


Scene dalla predella con le Storie della Cintola di Bernardo Daddi (1337-1338 circa; Prato, Museo Civico di Palazzo Pretorio): a sinistra, gli angeli sollevano Michele Dagomari; a destra, Michele Dagomari consegna la Sacra Cintola al proposto di Santo Stefano. [. . .]

Si narra che dal momento in cui il mercante donò la cintola alla pieve, si verificarono eventi miracolosi che avevano per protagonista la reliquia, ed ebbe così inizio il culto della Sacra Cintola di Prato (o del “Sacro Cingolo”, che dir si voglia). L’Opera del Duomo di Prato ebbe dunque l’idea di far costruire un altare che conservasse la cintola, che in origine era probabilmente decorato con una scultura raffigurante la Madonna col Bambino, realizzata da Giovanni Pisano probabilmente nel primo decennio del XIV secolo: una splendida opera d’arte caratterizzata dall'intensa resa degli affetti tipica di Giovanni Pisano, qui evidente soprattutto nel tenero gesto del Bambino che accarezza il volto della madre.

Nel 1312 un ladro, Giovanni di Landetto detto Musciattino, tentò di rubare la cintola: l’episodio ebbe un epilogo tragico per il malcapitato (che fu condannato a morte), ed ebbe inoltre l’effetto di suggerire alle autorità pratesi l’idea di custodire la reliquia in un luogo più sicuro: si ipotizzò dapprima di collocarla nel transetto i cui lavori di realizzazione iniziarono attorno alla metà del Trecento, ma negli anni Ottanta dello stesso secolo si risolse di porla all'interno di una cappella che avrebbe dovuto essere costruita ex novo vicino al portale d’ingresso del Duomo. La cappella fu terminata nel 1390 e fu decorata tra il 1392 e il 1395 con un ciclo di affreschi di Agnolo Gaddi che raccontano la storia della Vergine e quella della Cintola: è proprio in questa cappella, progettata dall’architetto fiorentino Lorenzo di Filippo, che è ancor oggi conservata la reliquia, che fu qui trasferita il 4 aprile del 1395. All'interno della cappella fu spostata anche la statua di Giovanni Pisano (di cui si conserva anche una copia in gesso in una sala del Museo dell’Opera del Duomo di Prato).

La Cappella della Sacra Cintola nel Duomo di Prato

Nel frattempo, si poneva il problema del luogo in cui mostrare la cintola durante le ostensioni pubbliche, che fino alla metà del Trecento avvenivano sotto un portico di legno nelle vicinanze del campanile del Duomo. Nel 1357 uno scultore senese, Niccolò di Cecco del Mercia, fu incaricato di lavorare a un pergamo che fu terminato nel 1360 e quindi collocato sul fianco destro della cattedrale. Il pergamo di Niccolò del Mercia assolse alla sua funzione per circa settant'anni, quando si decise di realizzare un nuovo pulpito, quello realizzato da Donatello e Michelozzo e sormontato dal caratteristico baldacchino a ombrello che lo rende immediatamente riconoscibile. I rilievi che lo decoravano sono oggi tutti custoditi nel Museo dell’Opera del Duomo: quelli che osserviamo in piazza sono copie. E all’interno dello stesso museo possiamo osservare anche i pannelli del pergamo di Niccolò del Mercia, che raccontano la storia della cintola. I due pannelli principali raffigurano il Transito della Vergine, con la Madonna disposta sul letto, al centro della composizione, attorniata dagli apostoli, e il Dono della cintola a san Tommaso, che riceve la reliquia direttamente dalle mani della Vergine, apparsa in una mandorla portata in cielo dagli angeli. I due pannelli laterali raffigurano invece l’Incoronazione della Vergine e San Tommaso che affida la cintola al sacerdote.

Solennità e pacatezza sono le due principali caratteristiche dei rilievi di Niccolò del Mercia. Nella scena del Transito non vediamo moti di disperato dolore attraversare i volti degli apostoli: in molti assistono alla scena senza lasciar trasparire sentimenti, mentre altri pregano o rivolgono gli occhi al cielo. Stilemi quasi bizantineggianti connotano invece la scena del dono della cintola, con i serafini che trasportano la mandorla e gli angeli musicanti ai lati che si dispongono in modo simmetrico, rendendo partecipe di tale simmetria lo stesso san Tommaso. Malgrado i volumi realizzati in modo piuttosto grossolano e le proporzioni dei corpi spesso tutt'altro che armoniose, non mancano tuttavia certi particolari trattati con maggior cura: sono un esempio la decorazione del guanciale della Vergine, oppure i riccioli delle barbe dei personaggi lavorati col trapano, o ancora i panneggi a semicerchio tipicamente gotici. [ . . .]

Il vescovo di Prato Gastone Simoni mostra la Sacra Cintola nel Reliquiario del 1638. 
(Clicca sull'immagine per saperne di più sulla Sacra Cintola - Diocesi di Prato)

Ancor oggi, l’ostensione della Sacra Cintola rappresenta uno dei momenti centrali della religiosità pratese: i credenti si riuniscono in piazza del Duomo per assistere alla celebrazione del vescovo che mostra la reliquia dal pulpito. L’evento occorre cinque volte all'anno: a Natale, a Pasqua, il 1° maggio, il 15 agosto e l’8 settembre, giorno della Natività della Vergine, in occasione della festa della città di Prato, durante la quale l’ostensione rappresenta il momento culminante dell’evento. In tutti gli altri giorni dell’anno, è possibile ripercorrere la storia della cintola attraverso le opere d’arte conservate in città. Starà alla religiosità (e magari al buon senso) di ognuno credere o meno al potere taumaturgico di questa semplicissima striscia di lana di capra broccata in fili d’oro: ma è certo che da secoli la cintola rappresenta una tradizione su cui si è fondata l’identità anche culturale di una città bella e operosa come Prato. (Ringraziamo gli autori di questo articolo che sono: Federico Giannini e Ilaria Baratta, tratto dal sito https://www.finestresullarte.info/434n_prato-sacra-cintola-duomo.php)


La tavola dipinta da Ridolfo del Ghirlandaio nel 1508 è una delle poche opere d'arte che si è conservata integra, completa della sua ricca cornice, nello straordinario contesto per il quale è stata realizzata: il terrazzo interno di Maso di Bartolomeo nel Duomo di Prato. Tuttavia un lungo elenco di restauri, molti di questi documentati, si snoda con cadenze regolari fino ai giorni nostri: Il primo intervento a cura di Lodovico Buti avvenne già nel 1584, nel 1699 venne ridorata la cornice, la tavola venne restaurata di nuovo nel 1741 da Bartolomeo Lupinari e nel 1852 da Antonio Marini; infine l'ultimo intervento documentato è stato quello del restauratore Massimo Seroni del 1978. Il dipinto ad olio su tavola è centinato e raffigura la Vergine Assunta in cielo, su nubi sostenute da Cherubini, che consegna la Cintola a San Tommaso (massima reliquia ed icona pratese per eccellenza) coi Santi Agostino, Stefano, Caterina d'Alessandria, Lorenzo e Margherita in primo piano tutti intorno al sepolcro dal quale spuntano rigogliosi cespugli di rose. Lo sfondo terso del cielo illumina un paesaggio ideale ricco di particolari.

sabato 2 settembre 2017

San Vito al Tagliamento (PN) - Madonna di Rosa


(Immaginetta donata dalla Sig.ra Laera)
La storia del Santuario «Madonna di Rosa e Gesù Misericordioso» e dell’Immagine della Madonna, ci porta nel lontano 1600, e precisamente nel 1655, ed è legata alle vicende del fiume Tagliamento. Il fiume, che scende dalle Alpi Carniche, nei millenni ha accumulato soprattutto nel suo medio corso un enorme manto di ghiaia, sotto cui scorre sotterraneo per lunghi tratti, riemergendo qua e là con vene più o meno turgide e regolari, come trecce che si fanno e si disfano continuamente.

Da sempre il grande fiume, nei periodi di forte piovosità nella catena alpina, ingrossa a valle le sue acque, diventando «rapace e feroce, mutevole e travolgente». Della sua irruenza, ne sapevano qualcosa i diversi villaggi sparsi ai bordi del suo alveo e ne sapeva qualcosa anche il nucleo abitativo di «Rosa» che, più volte aggredita dalle violenti piene del Tagliamento, nel giro di circa tre secoli dovette occupare ben quattro diverse posizioni, come testimoniano le quattro chiesette costruite negli anni dal 1648 al 1851: una sulla sponda sinistra del fiume e tre sulla sponda destra.

Giacomo Giacomuzzi di Rosa, per sé e la sua numerosa famiglia, nel 1649 ricostruì una nuova abitazione, portandosi però dalla sua vecchia casa un riquadro di ciottoli di fiume, nella cui facciata in calce era stata affrescata una dolce Madonna con il Bambino in braccio. Nell'abbattere la vecchia casa, quel quadrato, con l’immagine della Vergine, pur cadendo, non si era rotto. E pertanto egli pensò di ricollocarla nella sua nuova casa, proprio all'entrata, sotto il portico.



Davanti a quell’immagine spesso la sua famiglia si raccoglieva in preghiera. Eppure sia lui che molti del paese avevano la brutta abitudine di imprecare, durante la giornata e nel lavoro dei campi, contro Dio, con frasi blasfeme, lamentandosi per la dura vita, per l’inclemenza del luogo, dopo la carestia e la peste.

L’apparizione della Beata Vergine

Il 2 febbraio 1655, festa della Presentazione di Gesù al tempio (detta «Candelora»), la bambina Maria Giacomuzzi (o Giacomuzzo), di 6 o 8 anni, sta pregando con la sorella e due zie davanti all’affresco della Beata Vergine Maria, situato sotto il portico della casa del nonno Giovanni (Zuane), a Villa di Rosa, allora sulla sinistra del Tagliamento.

Improvvisamente solo a lei, ammalata di epilessia, appare una bella Signora vestita di bianco, che le sorride e la invita ad accostarsi. Parlandole in modo familiare le chiede di rivolgere un severo monito a tutta la comunità, in particolare al padre Giacomo, affinché si astenga dalla bestemmia, se vorrà evitare future catastrofi. Se così sarà fatto anche lei verrà guarita dal male che la sta molestando.
La Signora chiede anche di essere trasferita in «luogo più decente», posto nelle vicinanze di una strada frequentata.
Giacomo Giacomuzzi resta particolarmente colpito dal racconto della figlia, forse perché chiamato direttamente in causa. Riferisce subito l’accaduto al curato di Villa di Rosa, che non crede al suo racconto.
Si reca quindi dal pievano della vicina Pieve di Rosa ed anche in questo caso viene liquidato come un sognatore.

Nella chiesa di San Vito al Tagliamento viene finalmente ascoltato con attenzione da un frate, Padre Vitale Vitali, giunto a San Vito al Tagliamento per le confessioni in previsione della Pasqua.
Il frate, avendo creduto al racconto, ottiene l’assenso del pievano e del capitano di San Vito per verificare la possibilità di trasportare l’affresco in questa cittadina.

La famiglia Giacomuzzi decide di acconsentire alla richiesta di trasferire l’immagine miracolosa a San Vito, sulla sponda opposta del Tagliamento, mettendo anche a disposizione i propri buoi per il trasporto, che viene eseguito il mercoledì dopo Pasqua dello stesso anno (31 marzo 1655). Questo avvenimento verrà successivamente commemorato la prima domenica dopo Pasqua.
L’immagine viene riposta all’interno della Chiesa di San Nicolò, posta fuori le mura di San Vito al Tagliamento, in prossimità del campanile dell’attuale Santuario.

Padre Vitali redige quindi un resoconto dettagliato di tutti questi fatti e lo invia ai propri superiori.
Si diffonde immediatamente il culto e la devozione all'immagine della Madonna di Rosa, alla quale vengono attribuiti ripetuti eventi miracolosi.

Nel corso dei secoli la Chiesa è più volte ampliata ed abbellita. Nel 1800, su progetto dell’architetto sanvitese Lodovico Rota, la chiesa subisce profondi miglioramenti e diventa il Santuario della Madonna di Rosa.
Il 22 marzo 1945 un ultimo e terribile bombardamento distrugge completamente il Santuario e risparmia il campanile, sul quale restano peraltro evidenti, ancora oggi, i segni delle schegge.
Fra i cumuli di macerie viene rinvenuta, miracolosamente intatta, l’immagine della Madonna di Rosa.
Nel dopoguerra, grazie all’opera dei frati francescani ed alla generosità di molti fedeli, viene costruito un nuovo Santuario, sul lato opposto della strada statale (463), lungo la quale sorgeva il precedente.
Ancora oggi il Santuario della Madonna di Rosa è meta di molti pellegrini e punto di riferimento per i fedeli della destra e della sinistra del Tagliamento.

Ulteriori notizie sull’apparizione della Madonna a Rosa e sulla storia del Santuario di Madonna di Rosa sono riportate nel libro «La Rosa erosa. Studi su una comunità fra le acque».
Nel 2005, in occasione del 350º anniversario dell’apparizione, è stata realizzata una mostra fotografica, nella quale viene ricordata la storia dell’apparizione e gli eventi legati al Santuario.

(Articolo di Don Mario Morra sdb, che ringraziamo)

IMMAGINI:
1 Immaginetta recante l’effigie della Madonna di Rosa che miracolosamente si salvò da diversi disastri e tuttora conservata nel Santuario di San Vito al Tagliamento. 
2 Il Santuario della Madonna di Rosa.
3  Interno del Santuario: navata centrale lunga 60 metri, alta 17 e larga 14 metri. Il Santuario venne riaperto al culto il 28 agosto 1960.

Sito Web del Santuario


domenica 23 aprile 2017

Manfredonia (FG) - Maria Santissima di Siponto


L'icona di Siponto

Siponto, colonia romana, collegamento con l'Oriente, è sede di un'antica diocesi. La tradizione attribuisce a San Pietro la consacrazione del primo vescovo di Siponto, San Giustino; tra i suoi pastori c'è San Lorenzo Maiorano, parente dell'imperatore d'Oriente Zenone (474 - 491) e protagonista del racconto sulle apparizioni dell'Arcangelo Michele.

L'icona si conserva nel santuario di S. Maria Maggiore (oggi cattedrale della "nuova" Manfredonia). Il santuario sorge sulla via sacra Longobardorum che parte da Monte Sant'Angelo, accanto ai resti di una basilica paleocristiana che si fa risalire al vescovo Lorenzo; la tradizione locale riporta le origini della chiesa a S. Giustino (I secolo d.C.). 

L’unica data documentata è il 1117, anno della solenne consacrazione e della deposizione delle reliquie di San Lorenzo sotto l’altare maggiore. Molto dibattuta, tra gli studiosi, la questione sull'origine dell'edificio  fu probabilmente edificato tra XI e XII secolo sotto il vescovo Leone, usando anche materiali preesistenti: si sono trovati durante i recenti restauri (1973 e 1975) iscrizioni con il nome del vescovo committente Leone, degli artefici Acceptus e David, con la data 1039.

Foto tratta da Web
L'immagine della Madonna, su legno di cedro, è quella classica delle icone ispirate alla tradizione orientale.Già assegnata al XIII secolo, un restauro nel 1927 (a Roma per mano di Aronne Del Vecchi) ha trovato ai margini verticali del quadro, due fasce ornamentali con finissime figure di santi del più puro stile bizantino, facendola quindi molto più antica di quanto non si ritenesse (XI secolo). Si trovano cenni sul "Sacro Tavolo della Madonna di Siponto" nella Cronologia sarnelliana: intorno al 1300, l'arcivescovo Sasso aveva avuto "tenera divozione verso la Beatissima Vergine, la cui miracolosa effigie quivi frequentemente riveriva"; altro devoto all'icona fu l'arcivescovo fra Dionisio De Robertis (1554 - 1560). Dal Mastrobuoni si ricava che fu l'arcivescovo Francesco Rivera (1742 - 1777), nel 1745, a curare la rivestitura d'argento dell'icona. La comparsa dell'icona della Vergine risalirebbe al 1060 (?) e la tradizione va oltre: l'icona sarebbe stata donata dall'imperatore Zenone al vescovo Lorenzo dopo le apparizioni di San Michele. Per secoli, inoltre, circolò la leggenda, che l'immagine della Vergine fosse stata dipinta da S. Luca. Leandro Alberti, visitò la chiesa nel 1525.

Foto tratta dal Web

L'icona veniva portata in processione in occasione di calamità e avversità. Man mano questa pratica processionale si ripeté in una data fissa fino a trasformarsi in una vera e propria ricorrenza e festa patronale. Secondo alcuni, la festa che tuttora si svolge ebbe origine tra il 1840 e il 1841 dopo un'epidemia colerica e a partire dal 1849 fu spostata da settembre al 30 agosto. Nel 1872, durante la festa, il sacro tavolo subì gravi danni per un incendio.

Foto tratta dal Web
Ma l'icona non è l'unica immagine della Vergine che ci ha lasciato Siponto.
Nella cripta della basilica si venera la statua di una Madonna nera, detta la "Sipontina".


Secondo Alfredo Petrucci, nel 1927, era "abbandonata e ricoperta di polvere".
La Madonna è seduta in trono con il Bambino benedicente sulle ginocchia, gli occhi allargati in atteggiamento di doloroso stupore, e il mento coperto di strane macchie biancastre: lo scrittore la rinominò "Madonna dagli occhi sbarrati".
Il Petrucci collegò questo sguardo ad una leggenda narratagli qualche tempo prima da un vecchio popolano. Tanto, tanto tempo fa una giovinetta era stata violentata da un parente del vescovo dell'epoca davanti all'immagine della Madonna la quale "dal momento in cui fu consumata la nefandezza inaudita, si trasfigurò: i suoi occhi, già dolci e suadenti, furon visti diventare ogni giorno più grandi e finalmente restarono sbarrati come due finestre su una notte di procella". Anche la scomparsa di Siponto è collegata a questa leggenda. La ragazza cercò la morte, ma il mare la riportò a terra. Le sue lacrime allora si raccolsero formando il lago Salso che fu causa delle paludi che porteranno alla fine di Siponto.
Questo racconto ricorda quello di Catella, figlia di Evangelio, diacono della chiesa sipontina, stuprata dal nipote del vescovo Felice. La vicenda è riportata nelle lettere (fine del sec. VI) di S. Gregorio Magno al suddiacono Pietro, al notaio Pantaleone e al vescovo Felice, perché la colpa fosse punita.
La leggenda aggiunge ancora che le macchie bianche sul mento della statua, sono il resto del vomito prodotto dalla Vergine a causa del mare grosso durante la traversata da Costantinopoli a Siponto.
La "Sipontina", secondo quanto riferisce Serafino Montorio nel suo Zodiaco di Maria, fu rapita durante il sacco dei Turchi del 1620 ed in tale occasione due dita della mano furono recise. Ma, la Vergine, con materna premura "da se stessa tornossene à quelle spiaggie; e perché fosse assai più chiaramente conosciuta la sua protezione, e perciò con più fervore venerata, non posossi nella propria Chiesa, ma trà giunchi delle vicine paludi" . Ma se la "Sipontina" consentì a mani infedeli comunque di rimuoverla dal suo luogo, la stessa cosa impedì che facessero mani cristiane e quando i cittadini di Manfredonia, in un'epoca imprecisata, è ancora il Montorio che racconta, tentarono di trasportarla nella città, per imperscrutabile volere divino, "svegliossi nell'aria sì furiosa tempesta di grandini, pioggia, lampi, tuoni, e saette, che parea volesse inabissarsi il Mondo; perlocché spaventati cessarono da tale attentato". Sempre secondo il Montorio, i guardiani di pecore, capre ed altri animali godono di una speciale protezione da parte della Madonna, tanto che a Lei offrono "le primizie de' loro armenti". (Notizie tratte dal sito web http://www.garganonline.net/Siponto/SMaria.htm)

Maria Santissima di Siponto (link)