mercoledì 31 gennaio 2018

Andria (BT) - L'Icona di Andria XIII sec.


Madonna con Bambino
Percorso museale virtuale

Sulla parete destra del transetto della Cattedrale, in una pregevole cornice marmorea policroma settecentesca, proveniente dalla demolita Chiesa della SS. Trinità annessa al monastero delle Monache Benedettine in piazza Duomo, è inserita una copia fotografica della stupenda "ICONA DI ANDRIA".

Per una lettura descrittiva, emozionale e religiosa piuttosto che tecnica si riportano i seguenti commenti; per uno sguardo invece artisticamente approfondito è possibile leggere alcuni brani stralciati da studi dell'esimio prof. Valentino Pace (riportato tra i documenti e le letture).

"LA ICONA DI ANDRIA è la più bella delle Icone di Puglia. Sta a fronte anche alla celeberrima icona della Tenerezza di Vladimir. È databile intorno al 1275. Si fa l'ipotesi che sia prodotto della raffinata arte bizantina di corte, importata in Italia alla seconda metà del XIII secolo.
Non era circondata da un particolare culto negli ultimi tempi.
Fu trovata e raccolta in un angolo della retrosacrestia della cattedrale con altri quadri. Questa è forse la ragione del suo deterioramento. Dovette essere nota a suo tempo. Da essa sembra dipendere tutto un gruppo di tavole dugentesche, tra cui la Madonna della Fonte di Canosa, la Madonna della Fonte di Trani... Tempera su tavola, cm 72 x 52.
Proviene dal Monastero delle Benedettine di Andria."



[tratto da Ho raccolto per voi, di G. Lanave, Tip. Guglielmi, Andria, 1994, pag. 12]



Ricostruzione dell'Icona di Andria, con le probabili scritte in greco

In una "Relazione sul Monastero e Chiesa di donne Monache sotto il titolo di S. Benedetto in Andria", redatta il 22 dicembre 1909 dall'ispettore Angelo Pantaleo della "Soprintendenza ai Monumenti della Puglia e del Molise" si trova scritto:
"Su dipinto ad encausto, vedesi una Madonna col putto, di quelle dette comunemente di S.° Luca. L’iconografia della figurazione, la grandezza maggiore del vero, le aureole dorate, la dicitura in greco, gli occhi ampi a mandorla, la bocca ad arco, il viso ovale, il mento robusto, il colore bruno; la dicono una tavola, la tavola istessa di legno di quercia, di fattura bizantina o tutt’al più: bizantina – benedettina; benché sia molto sciupata e restaurata, tuttavia non ha perduto di carattere. La parte superiore finisce a trilobo: misura m: 1,20 x 0,85. [e nella conclusione, enumerando quanto è "da riguardarsi e conservarsi" di questo dipinto scrive:] Tavola di scuola bizantina - Benedettina, sita nell'ambulatorio delle grate, autore ignoto, epoca 1100."


In questa relazione si parla certamente dell'Icona di Andria; la tavola originariamente era più grande; col tempo ha perduto i pezzi laterali e inferiore, nonché il "trilobo" superiore (non è precisato se a tutto sesto o acuto alla gotica), con "la dicitura in greco" (forse le iniziali delle seguenti parole in greco-cirillico: Μ[ητέ]Р Θ[εο]У - I[ησού]С Χ[ριστό]С); tale danneggiamento appare evidente dall'incompletezza dell'aureola e delle spalle, sia della Vergine che del Bambino, al quale mancano anche gran parte delle gambe (una ipotetica ricostruzione è tentata nell'immagine di sinistra).

Inoltre il 1° ottobre del 1930 mons. Alssandro Macchi (allora Vescovo di Como e Amministratore di Andria), redigendo un inventario degli oggetti trovati nel Convento e nella Chiesa delle Benedettine, in merito all'Icona di Andria scrive: "Pittura della Madonna su legno, custodita nel Tesoro della Cattedrale."

"Questa Icona preziosa, che nettamente si distingue dalla folla delle altre Icone della Puglia, ci dà anche una stupenda lezione visiva di teologia. Il viso dolente della Vergine emerge dal fondo dorato (l'oro, con la sua luce, è un simbolo dell'eternità): Dio ab eterno ha pensato a Maria Madre del verbo incarnato e corredentrice - con i suoi dolori - del genere umano.
La "vita eterna" che un architetto [alξeberius] invocava sul pilastro della Cattedrale è Cristo suo Figlio e ci viene da Lei, Vergine e Madre; e il Cristo essa mostra come via per gli uomini, Madre dell'Unico e Madre della Chiesa" 
[tratto da San Riccardo Protettore di Andria, di G. Lanave, Tip. Guglielmi, Andria, 1989, pag. 144]

Cattedrale di Andria
"... l'icona di Andria ... è stata definita «una combinazione» dell'Odigitria e dell'Eleousa. Tale essa potrebbe forse correttamente definirsi se non fosse che queste stesse categorie iconografiche implicano di frequente varianti al loro interno, così da renderne difficile una definizione canonica. Ciò lo si può constatare al suo confronto con le due cosiddette Odigitrie del Sinai e di Monreale: a cominciare dallo sguardo della Vergine, indirizzato, a Monreale — e ad Andria, ma non al Sinai! — verso il fedele, a stabilire con lui un diretto nesso devozionale. Agli occhi della Vergine, innalzando verso di Lei i propri, è anche rivolto lo sguardo del Bambino di Andria, mentre a Monreale Egli segue con lo sguardo la direzione della mano benedicente e al Sinai mantiene un'impassibile astrazione, perfettamente consona alla gravità dell'immagine. La benedizione è impartita ad Andria con la mano quasi distesa in proseguimento dell'avambraccio, mentre altrove è sollevata. Diversamente da ambedue le altre e in coerenza con questa maggiore umanizzazione dell'immagine, la Madonna di Andria stringe a sé con la Sua mano sinistra il Figlio, esprimendo una forza affettiva che è quella già evidenziata dal celebre mosaico costantinopolitano eseguito per Giovanni II Comneno a Santa Sofia e in seguito sull'abside cipriota di Lagoudera. ...
Più naturalistico rispetto all'astratta soluzione dell'icona sinaitica e poi ad Andria — e con diversa formulazione anche a Monreale — il modo con cui il maphorion della Vergine discende dal capo e incrocia i suoi due lembi sotto il giro del collo, dove illogicamente si interrompe tuttavia il percorso della fettuccia dorata che lo orla. Solo ad Andria infine, fra le tre opere in questione, il volto della Vergine è incorniciato da una cuffia rossa, come pure avviene di frequente a Cipro, in Dalmazia e in Toscana, per citare aree con cui la Madonna di Andria è stata messa in riferimento. Diversamente dall'icona sinaitica e dalla lunetta monrealese il Bambino di Andria indossa una vesticciola purpurea rabescata d'oro cui «non» si avvolge nessuna forma di cinta (Sinai) o bretella (Monreale) e che è solo connotata dalle rabescature dorate della crisografia — qui del tutto assente sul manto della Vergine. Per il manto che avvolge la spalla destra della Vergine il pittore di Andria sembra aver utilizzato un modello simile a quello monrealese, diminuendo tuttavia l'angolo di caduta delle pieghe, disposte adesso più in orizzontale. ..."
[tratto da ""Circolazione e ricezione delle icone bizantine: i casi di Andria, Matera e Damasco" di Valentino Pace, in "Studi in onore di Michele D'Elia", a cura di Clara Gelao, R&R Editrice, Matera / Spoleto, 1996, pagg. 157-165]. - L'estratto è pubblicato anche nel sito "www.academia.edu"

(L'intero articolo è stato tratto da http://www.andriarte.it/MuseoVirtuale/icona_di_andria.html)


Per saperne di più




giovedì 25 gennaio 2018

Giulianova (TE) - Maria SS. dello Splendore


Il santuario della Madonna dello Splendore è un'importante edificio di culto a Giulianova, con l'annesso convento, la fontana miracolosa e il Museo d'arte dello Splendore. Il santuario è una delle principali attrazioni artistiche della città, ed è meta di numerosi pellegrinaggi.

Nel 1559 fuori le mura di Giulianova i cappuccini ebbero un primo luogo in donazione degli Acquaviva, costruendo una chiesa dedicata a san Michele Arcangelo, dove oggi si trova la "casa Maria Immacolata". Il santuario sorse nel luogo di apparizione della Vergine il 22 aprile 1557. Nel settembre del 1847 con decreto di Ferdinando II delle Due Sicilie e con rescritto della Santa Sede, ottenuto dal vescovo di Teramo monsignor Berrettini, i cappuccini presero dimora nell'antica abbazia dei monaci celestini da questi lasciata nel marzo 1807, a seguito della soppressione napoleonica presso il santuario dello Splendore. 
Soppressa anche la comunità dei cappuccini nel 1866 per le leggi piemontesi, il santuario non fu mai del tutto abbandonato. Il 7 marzo 1927 fu acquistato un sito adiacente il santuario e il 28 agosto fu posta la prima pietra del nuovo convento, che nel 1938 fu costituito sede dello studentato del liceo classico, rimastovi fino al 1965. Negli anni 1968-71 il convento ha ospitato un piccolo seminario serafico; nel triennio 1989-92 con interventi di bonifica e ristrutturazione degli ambienti attorno alla "sorgente della Madonna", è stato riedificato un tempietto votivo circondato da ambiente verde.
Interventi di largo respiro negli ani 1990-2000 riservando alla fraternità dei cappuccini alcuni ambienti, hanno ristrutturato i piani superiori per ospitare il Museo d'arte dello Splendore, e la vecchia legnaia accolse la biblioteca del convento. Lungo la via Bertolino è stata realizzata una Via Crucis monumentale con sculture in bronzo dell'artista Ubaldo Ferretti; nel 2001 fu sostituito il vecchio organo con un più monumentale di A. Girotta.

Piazzale del santuario

L'interno della chiesa è a croce latina, ed è decorato con grandi pitture murali, eseguite nel 1954 da Alfonso Tentarelli su progetto di padre Giovanni Lerario; vi è custodita una statua lignea della Madonna col Bambino benedicente, di autore ignoto, del XV secolo, ribattezzata poi "Madonna dello Splendore". Il 15 agosto 1914 con solenne cerimonia sul capo della Madonna fu posta una corona d'argento laminato d'oro, cesellata dalla famiglia Migliori. Intorno al 1950 la statua è stata inserita in una raggiera, simbolo della luce divina, posta sopra un tronco d'albero per rievocare l'ulivo da cui apparve nel 1577.
Nella sacrestia notevole è la pala cinquecentesca della Vergine col Bambino in Gloria tra santi Pietro, Paolo, Dorotea e Francesco, opera di Paolo Veronese, e il bel tabernacolo ligneo con inseriti d'ebano realizzato tra il 1720 e il 723, attribuito ai maestri cappuccini Fra' Serafino da Nembro, Fra' Michele della Petrella Tifernina e Fra' Stefano da Chieti. 
Del pittore Giacomo Farelli sono i quadri olio su tela presenti nel coro, rappresentanti: L'Immacolata Concezione - L'Annunciazione dell'Angelo - Natività di Gesù - Assunzione di Maria in cielo. Gli interventi di recupero e valorizzazione avviati nel 1986, oltre ad aver interessato la facciata, ricostruita in stile pseudo-classico marchigiano in mattoncini, con portico all'accesso ad arcate a tutto sesto, e pianta a capanna con rosone a raggi centrale. L'acqua della fontana miracolosa è stata canalizzata e raccolta in apposite vasche nei giardini del convento, dove è stato realizzato un tempietto impreziosito da mosaici artistici e bassorilievi in marmo raffiguranti scene del Vecchio e Nuovo Testamento; il piccolo belvedere è adornato dalle statue bronzee di san Michele che schiaccia la serpe di Satana, e di san Francesco d'Assisi, rappresentato con le braccia alzate per glorificare Dio. L'ampliato piazzale di accoglienza è dominato da una grande statua in bronzo del Cristo, dove campeggia la scritta "EGO SUM VIA VERITAS ET VITA". 

Secondo la tradizione la sorgente della fonte è situata sotto l'altare maggiore, dove si trova un tempietto con un simulacro che si ritiene essere comprato dal contadino Bertolino che nel 1577 assistette all'apparizione mariana. Il contadino, dopo aver accumulato della legna, si riposò e mentre dormiva una luce abbagliante lo investì. 
La Madonna gli apparve, comunicandogli di aver scelto la cittadina di Giulia Nova come luogo per la sua venerazione. 
I duchi Acquaviva però credettero che il contadino Bertolino fosse ubriaco e lo cacciarono; e nonostante i dubbi, il contadino si convinse dopo una seconda apparizione mariana. Nonostante ciò il duca lo fece fustigare, ma la Madonna paralizzò la mano dell'aguzzino. 
Il governato Acquaviva allora organizzò una solenne processione verso il luogo delle apparizioni, da dove scaturì una sorgente di acqua miracolosa. (Notizie tratte da Wikipedia)

L'apparizione

domenica 21 gennaio 2018

Borghetto sul Mincio (VR) - "La Madonna" di Giovanni Caliari (1835)


La Chiesa di San Marco Evangelista di Borghetto risale al XVIII secolo. Edificata sui resti di una pieve romanica del XI secolo, dedicata a Santa Maria ed antica precettoria templare, conserva uno stile neoclassico e la pianta a navata unica a volta ribassata.
Sull'altare a sinistra, entrando, un dipinto di Giovanni Caliari del 1835, dedicato alla Vergine con Bambino (particolare perché la Madonna veste di scuro), sottolinea la devozione mariana della comunità di Borghetto ed i suoi antichi legami con il Monastero di Santa Maria della Mason.

Nel presbiterio e vicino all'altare di San Giuseppe, vi sono affreschi superstiti dell'antica pieve: i Santi Bernardino da Siena, Francesco d'Assisi e un San Bartolomeo incorniciato.
L'altare maggiore, in marmi policromi, reca alla sommità le statue di San Marco, San Barnaba e Santa Concordia. Sopra gli stalli lignei del coro è stata posta un'antica statuetta del Patrono.
Sulla destra del sagrato, vi sono iscrizioni su marmo, che ricordano le principali battaglie combattute sulle rive del Mincio. Sulla sinistra del portale di ingresso, in una nicchia, una Madonna dipinta da F. Bellomi nel 1980 ed una fonte d'acqua accrescono la serena bellezza del luogo. 
Chiedendo al Parroco, è possibile visitare l'antico cimitero retrostante la Chiesa. 



Restaurato negli anni venti del '900, dal solerte ed appassionato Don L. Dall'Agnola, il camposanto raccoglie le lapidi più antiche e significative della storia locale e sopratutto permette al visitatore di ammirare l'abside triconica dell'antica chiesetta romanica a pianta cluniacense, unica parte sopravvissuta dell'antico cenobio.
Nella vicina torre scaligera, testimonianza insieme alla porta merlata dell'antica fortificazione del Castello di Borghetto, è stata ricavata una cella campanaria: fra i sacri bronzi, uno reca in caratteri gotici la data 1381. 
Il suo rintocco, grave e suggestivo, si può udire solo in dodici ricorrenze dell'anno liturgico.
Nei pressi del ponte S. Marco (ponte di legno), incastonata nelle vecchie mura medievali, è collocata la statua di San Giovanni Nepumoceno (Jan Nepumek), martire boemo. Un tempo l'effige era ospitata in un'edicola sulla metà del ponte: la tradizione, riscontrabile anche nei paesi dell'Europa centrale, vuole che il Santo protegga dall'annegamento coloro che cadono nelle acque del fiume. 
(Notizie tratte dal sito web http://www.valeggio.com/)

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