giovedì 26 maggio 2022

Martina Franca (TA) - La Madonna Pastorella


La Divina Pastora

Nella nicchia a sinistra del presbiterio, della Basilica di San Martino a Martina Franca (TA), si ammira un bellissimo gruppo scultoreo in legno colorato del XVIII secolo raffigurante la Madonna Pastorella. La Madonna, con un volto dai lineamenti delicati, reca qualche attributo dell'Immacolata, come la mezza luna sotto i piedi, la corona di stelle, la stella caudata, ma indossa un abito e un mantello finemente rifiniti con ricami in oro e originariamente, il petaso, il tradizionale cappello dei pastori, ora sostituito dopo il restauro. In alto quattro angeli in volo e sotto un gregge e un agnellino che la Madonna protegge da un lupo che ella stessa trafigge col vincastro, il tipico bastone dei pastori, una perfetta ambientazione arcadica. Il culto della Pastorella di origine spagnola fu diffuso a Martina Franca dai frati Cappuccini o Alcantarini nella prima metà del Settecento. La Divina Pastora fu la Madonna del popolo, non una immagine idealizzata di Madonna che appare ai Santi estasiati, irraggiungibile, intangibile, ma una del popolo a cui era facile rivolgersi direttamente per chiedere protezione, intercessione. L'immagine della Divina Pastora è , infatti, molto diffusa nei quartieri più popolari della città vecchia in tante graziose edicole votive; in lei si confidava anche affinché proteggesse dalle epidemie che decimavano le piante.


Basilica di San Martino
Simbolo insigne del rococò martinese, monumento emblema di un'intera stagione artistica, nonché fucina per i massimi rappresentanti dell'architettura, della scultura e della pittura, la Basilica di San Martino, dedicata al santo patrono, San Martino vescovo di Tours vissuto nel IV secolo d.C., sorge sul sito che ha visto nascere ben tre edifici. Il primo edificio risaliva al periodo pre-angioino, era alquanto modesto, e occupava all'incirca l'area dell'attuale presbiterio. Sulla stessa area in pieno periodo medievale fu edificato il secondo tempio, in stile tardo-romanico a tre navate, grande all'incirca quanto l'attuale chiesa. E infine, a causa nel terremoto del 1743 e del nuovo stile architettonico che ormai alleggiava in città, l'arciprete Isidoro Chirulli, con l'assenso dell'intero Collegio del Capitolo, il 5 maggio del 1747 fece porre la prima pietra dell'attuale tempio rococò.


La progettazione dell'edificio fu elaborata da un ingegnere bergamasco residente a Martina, Giovanni Mariani, mentre la scultura monumentale, che solennizza la verticalità della facciata, fu opera di Giuseppe Morgese e dei figli Francesco e Gaetano Morgese, originari di Ostuni, insieme a Pasquale Montanini, scultore di Francavilla Fontana. In realtà Giovanni Mariani morì alcuni mesi dopo l'inizio dei lavori, quindi tutta la progettazione architettonica e gli elementi ornamentali furono rivisti e perfezionati da Giuseppe Morgese. I lavori del nuovo edificio settecentesco iniziarono gradualmente, senza distruggere completamente la chiesa persistente, al fine di consentire di officiare regolarmente. Infatti, dapprima si abbatté la facciata e man mano che i lavori proseguivano si buttarono giù i muri perimetrali e le colonne, sostituendo il vecchio con il nuovo.


La facciata alta 37 metri e poggiante su una base di 24 metri fu realizzata con pietra calcarea del luogo è ripartita in due ordini e divisa verticalmente da fasce di paraste con capitelli misti. L'elemento di maggior pregio artistico è l'altorilievo di San Martino che taglia il mantello. Il gruppo scultoreo è inserito all'interno di una conchiglia, elemento decorativo caratterizzante del roccocò, che a stento sembra contenere lo scalciare avvitante del cavallo, mentre San Martino con la spada taglia la clamide per donarla ad un mendicante seminudo. Sotto il gruppo scultoreo spicca il portale con timpano spezzato che sorregge due figure femminili. Nell'ordine inferiore sono presenti quattro nicchie con santi. Partendo da destra si riconoscono San Giuseppe con il Bambinello in braccio e il bastone fiorito, e San Paolo che regge l'elsa della spada, San Pietro che stringe le chiavi e infine San Giovanni Battista vestito con pelle di capra. Anche l'ordine superiore presenta altre due nicchie: quella di sinistra ospita Santa Comasia, santa compatrona della città, e Santa Martina a destra. In mezzo alle due nicchie la facciata è traforata da un finto balcone pontificale balaustrato, coincidente con la separazione dei due ordini, e sormontato da un frontespizio spezzato. Lateralmente il prospetto superiore è serrato da due serpentine sormontate da fiaccoloni. L'edificio si conclude alla sommità con un elaborato frontone, anch'esso decorato dai tipici fiaccoloni, recante al centro lo stemma del vescovo di Tours: una corona con una mitra episcopale.

La struttura esterna laterale è molto semplice ed è dotata di due ingressi laterali; uno a settentrione e l'altro a meridione. Tutti e due i portali sono coronati da timpani spezzati con dei cartigli dedicatori. Quello di meridione, con affaccio sul corso, nell'iscrizione latina ricorda il patrocinio di San Martino che salvò la città dall'epidemia bovina e dall'invasione dei bruchi. Mentre l'iscrizione epigrafica del portale di meridione ricorda che il santo patrono salvò la città dai terremoti, dalla peste e dalla carestia. Inoltre lungo il lato meridionale, collocati in alto, compaiono dei doccioni antropomorfi dalle sembianze beffarde. Proseguendo su questo stesso lato, per via Masaniello, si potrà scorgere la mole del campanile tardo-romanico. Il campanile attualmente si presenta mozzato nella parte superiore, in quanto nel 1768 il Capitolo preferì abbattere la cuspide molto alta e l'ultimo piano perché profondamente danneggiati dai terremoti e dai fulmini. Tuttora si può ammirare lungo i quattro lati la tipica decorazione romanica contrassegnata dagli archetti pensili e dalle finestre monofore.

La consacrazione della nuova fabbrica rococò avvenne dopo quasi trent'anni dall'inizio dei lavori ad opera di monsignore Francesco Saverio Stabile, vescovo di Venafro (Isernia), concittadino e canonico della Collegiata. Era il 22 ottobre del 1775. La Chiesa di San Martino ha sempre rappresentato un punto di riferimento importante non solo nell'arte ma soprattutto per i fedeli, infatti, il 22 aprile del 1998 il papa Beato Giovanni Paolo II l'ha elevata a Basilica Minore.
L'interno della basilica si presenta strutturato secondo i canoni della pianta a croce latina con un'unica navata. Varcata la bussola, sulla controfacciata vi sono un cavallo libero da briglie, simbolo della città di Martina Franca, e una lapide commemorativa con iscrizione latina che cita il riconoscimento del titolo di Collegiata concesso dal re Ferdinando II di Borbone nel 1842. Si tratta di una riconferma istituzionale, poiché la chiesa già nel lontano 1594 fu proclamata Collegiata. In alto spicca il finestrone corrispondente al balcone pontificale esterno con la vetrata di Marcello Avenali (1956), raffigurante la Liberazione di Martina dal leggendario assedio dei Cappelletti del 1529. Segue sul lato sinistro, all'interno di un'ampia nicchia dipinta con l'effetto di finti marmi policromi, un Battistero in marmo policromo sormontato dalla scultura del Battesimo di Gesù (1773) opera di Crescenzo Trinchese su disegno di Giovanni Battista Catalano. L'opera fu commissionata dall'abate Tommaso Caracciolo, infatti, lo stemma nobiliare del leone rampante campeggia sia sul cancelletto che sull'archivolto.

Il primo altare sulla sinistra è dedicato a San Girolamo Emiliani o Miani e fu commissionato nel 1775 dalla nobile Maria Idria Miani. La pala d'altare, opera di un pittore anonimo del Settecento, raffigura l'Apparizione della Vergine a San Girolamo Emiliani e riporta in basso lo stemma della famiglia Miani (tre fiori). Lateralmente sulla sinistra vi è una tela di Santa Martina, vergine e martire (XVIII secolo).

Sul pilastro intermedio, fra la prima e la seconda cappella, si colloca un'acquasantiera in marmi policromi la cui metopa è ornata dal bassorilievo di San Martino che concede la pioggia (XVIII secolo). Non a caso il santo patrono veniva invocato nei periodi di lunga siccità.

La cappella successiva, costruita nel 1764, è dedicata alla Natività, infatti, sulla parete di fondo campeggia una tempera dell'Adorazione dei Pastori di Pietro Cataldo Mauro realizzata nel 1777, restaurata nel 1853. In basso si collocano, come completamento dell'opera pittorica, delle statue cinquecentesche in pietra policroma raffiguranti il gruppo completo della Natività, attribuite a Stefano da Putignano, uno dei più grandi scultori rinascimentali pugliesi.

Prima di giungere nell'area del transetto guardando in alto, in corrispondenza delle porte di accesso laterale, si aprono due finte tribune, disegnate da archi bifori sospesi, sul cui peduccio sono aggrappati due graziosi putti, che come sottolineò lo storico De Giorgi nel 1882: "fanno delle prove di ginnastica sui frontoni spezzati".

Sul pilastrone, che separa la navata dal transetto, è affissa in alto una lapide che ricorda la solenne consacrazione del tempio dedicato a San Martino ad opera dell'Arcivescovo Francesco Saverio Stabile il 22 ottobre del 1775.

Siamo nell'area del transetto, dove in seguito ai recenti restauri, sono stati riportati alla luce i dipinti murali delle lunette realizzati all'inizio del 1900. Nelle lunette del transetto di sinistra sono riprodotte le scene della Dormizione di San Martino e dell'Assedio dei Cappelletti, mentre l'unica che si è conservata nel transetto di destra riproduce San Martino e il povero.

Nel transetto di sinistra si trova l'altare in pietra policroma dell'Arcangelo Raffaele con la tela settecentesca, attribuita a Domenico Carella, e raffigurante l'Arcangelo Raffaele e Tobiolo sulla riva del fiume Tigri. Nella testa del transetto si colloca l'altare marmoreo di Cristo alla Colonna. Questo altare fu progettato da Gennaro Sanmartino e realizzato dal marmoraro Giuseppe Varriale, artisti napoletani di grande pregio. Infatti, la loro presenza a Martina Franca dimostra chiaramente come la committenza locale fosse molto avvezza a richiedere artisti di chiara fama provenienti da Napoli, che nel Settecento rappresentava la fucina artistica italiana di maggior spessore artistico ed estetico. Basti pensare che Gennaro Sanmartino era il fratello di Giuseppe Sanmartino, l'autore della celeberrima scultura del Cristo velato, custodita presso la cappella di San Severo a Napoli, e considerata una delle opere più suggestive del barocco italiano.


L'altare fu commissionato nel 1775 da Francesco Saverio Stabile, vescovo di Venafro e natio di Martina, che fece apporre il proprio stemma sulle fiancate dell'altare (stesso blasone si trova sulla facciata di Palazzo Stabile). Sul paliotto dell'altare è riprodotto il Volto sindonico del Cristo, opera di grande maestria, tanto da far supporre l'intervento diretto dello stesso Giuseppe Sanmartino. Nella nicchia è conservata la scultura, realizzata su tronco di ulivo, del Cristo alla colonna (1622) opera di Giacomo Genovivi, scultore di Gallipoli. L'opera è di forte matrice barocca in quando l'espressione del Cristo è carica di un intenso pathos drammatico, riuscendo a suggestionare profondamente il fedele. 

L'ultimo altare rococò collocato del transetto è dedicato alla Madonna di Costantinopoli eretto fra il 1764 e il 1775. La tela raffigura la Madonna con Bambino e l'Arcangelo Michele e San Gaetano da Thiene, anche questa è attribuita a Domenico Carella. Interessante è lo scorcio che si apre ai piedi dei santi; una città avvolta dalle fiamme e circondata da torrioni e cinta muraria, forse potrebbe trattarsi di una vista panoramica della città di Martina settecentesca, sulla quale sotto forma di fiamme si estendeva la protezione della Vergine.

Siamo di fronte all'altare maggiore, in marmo policromo, opera di grande spessore artistico e architettonico. Si noterà la somiglianza stilistica con l'altare del Cristo alla Colonna, infatti, anche questo fu progettato da Gennaro Sanmartino e realizzato dal marmoraro Giuseppe Varriale nel 1773 dietro commissione di Pietro Simeone, noto munifico del Settecento martinese. La nicchia centrale ospita la statua litica policroma di San Martino in paramenti vescovili, scolpita da Stefano da Putignano nel 1518. Sui corni dell'altare spiccano due sculture in marmo bianco realizzate dal grande Giuseppe Sanmartino; sulla destra è posizionata l'Abbondanza, mentre sulla sinistra la Carità. Dietro l'altare si apre il coro ligneo realizzato da maestranze locali nel 1775.

In alto, al centro, spicca la vetrata dell'Incontro di San Martino con il Povero, anche questa realizzata da Marcello Avenali (1956), mentre sulla parete di sinistra è posizionato il dipinto ad olio di Michelangelo Capotorto raffigurante la Pentecoste (1769), e di fronte, sulla destra, si apre la grande macchina sonora dell'organo (1927), celato da un'immensa balconata lignea con decori dorati.


Prima di proseguire la visita del lato destro della basilica, introduciamoci nella cappella del Santissimo Sacramento, che si apre sulla sinistra dell'altare maggiore. Nella parete di sinistra, adiacente all'ingresso della cappella, come detto prima, vi è la statua della Madonna Pastorella risalente al Settecento. 

Entriamo, ora, nella cappella del Santissimo Sacramento, detta anche il Cappellone, realizzata fra il 1776 e il 1785 per volontà della Confraternita del Santissimo Sacramento, nata in simbiosi con la chiesa fin dalle origini e documentata fin dal 1544 (l'oratorio attuale si trova alle spalle della chiesa). Il Cappellone fu abbellito con stucchi policromi e il marmoraro napoletano, Raimondo Belli, realizzò la macchina d'altare, completata dal grande dipinto ad olio di Domenico Carella nel 1804 e raffigurante l'Ultima Cena. L'opera è firmata e datata in basso con la seguente scritta: DOMINICUS CARELLA / SENIOR FECIT 1804. Il dipinto esprime la piena maturità artistica del Carella che rivoluziona lo schema iconografico dell'ultima cena inserendo la scena del banchetto, riccamente apparecchiato, in mezzo ad un possente colonnato e animandola con servitori indaffarati e con angeli svolazzanti che reggono un pesante tendaggio, quasi fosse una scena teatrale. Al centro la lucerna, sorretta da un groviglio di angeli, illumina i gesti solenni dell'istituzione dell'eucarestia. Domenico Carella è anche l'autore dei Quattro Evangelisti dipinti nelle quattro vele della cupola nel 1785.


Riprendiamo la visita della basilica, uscendo dal Cappellone e spostandoci sulla destra del presbiterio. Qui si trova il Tesoro della Basilica. All'interno di un armadio a muro sono custoditi i preziosi arredi liturgici della basilica. Si annovera un numero consistente di calici, turiboli, ostensori, cartaglorie, navicelle, reliquari ecc, ma in maniera specifica emergono le statue reliquario di San Martino e Santa Comasia, santi patroni della città. Le due statue sono lavorate in argento cesellato, sbalzato e bulinato con dorature. Le due opere provengono dalla bottega napoletana dell'orefice celeberrimo Andrea De Blasio che nel 1700 realizzò San Martino e nel 1714 Santa Comasia. Un altro importante elemento è il Reliquario di San Martino, foggiato dell'orafo napoletano Antonio Attingendo nel 1712.
Siamo nel transetto di destra, dove si colloca l'altare in pietra di Santa Comasia eretto nel 1764 e contenente la statua reliquario in legno dorato della Santa, opera di botteghe leccesi del XVII secolo. Questo è l'unico altare in pietra ad essere ornato da due angeli porta candelieri, quasi a voler sottolineare l'importanza religiosa, dato che nel tabernacolo, all'interno di una cassa in zinco sono conservate le reliquie di Santa Comasia, traslate qui dal cinque novembre del 1764. La porta adiacente conduce alla sacrestia, che oltre a custodire opere pittoriche di notevole importanza, mette in evidenza la struttura tipicamente medievale del vano.

Nella testa del transetto si trova l'altare neoclassico dedicato a Maria Ausiliatrice la cui statua lignea è stata realizzata nel 1919 e si adorna di una corona in oro realizzata da Daniele Libardi, orafo martinese. L'ultimo altare presente nel transetto è quello dedicato a Santa Martina, che fu eretto in pietra fra il 1770 e il 1775. Ospita nella nicchia Santa Martina, considerata "patrona meno principale", anche questa realizzata in legno da botteghe leccesi nel XVIII secolo. Proseguendo verso l'uscita principale della chiesa si potrà ammirare il pergamo in legno sospeso a muro (1830), e l'altare dell'Addolorata, eretto nel 1784, fu rifatto nel XIX secolo con l'inserimento della scultura ottocentesca dell'Addolorata.


Sul pilastrone, prima dell'ultima cappella, si trova la seconda acquasantiera il cui bassorilievo raffigura Mosè trae l'acqua dalla roccia (XVIII secolo). L'ultima cappella è dedicata al Santissimo Crocifisso. L'altare in pietra, elevato nel 1765, ospita al centro il Crocifisso ligneo attribuito allo scultore pugliese Riccardo Brudaglio in pieno Settecento. Sulle pareti laterali sono posizionati dei dipinti settecenteschi del Calvario di Gesù.
L'ultimo sguardo, prima di uscire, si sofferma sulla lapide, laterale alla bussola, che ricorda l'elevazione della chiesa a basilica nel 1998 per volontà del Beato Papa Giovanni Paolo II (Notizie tratte dal sito web del Comune di Martina Franca, Le Chiese).


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