lunedì 9 maggio 2022

Roma (RM) - Madonna del Divino Amore

Il Santuario

Perché un Santuario in località Castel di Leva, in un posto così fuori mano, lontano dal centro abitato, là tra la via Ardeatina e la via Appia Antica? Pur essendo così congeniale alla propria spiritualità, gli stessi romani poco sanno dell’origine del Santuario e della devozione cui l’edificio è votato.

La storia del Santuario è davvero inconsueta. Non è legata ad una apparizione della Madonna, ma ad una antica immagine della Vergine in trono con in braccio Gesù Bambino, sovrastati entrambi dalla colomba simbolo dello Spirito Santo (di qui il titolo di Madonna del Divino Amore). Il dipinto era posto su una delle torri di cinta di un antico castello, il castello dei Leoni (da cui la degenerazione in Castel di Leva), che nel 1740, anno del primo miracolo, appariva già diroccato, forse distrutto da un terremoto.

Fin dal 1081 (quando per la prima volta se ne trova menzione in una bolla di Gregorio VII) quella terra era appartenuta all’Abbazia di San Paolo. Più in là nel tempo la proprietà passò alla chiesa di Santa Sabina e, quindi, nel 1295, alla famiglia dei Savelli. Il castello fu costruito proprio in quegli anni. Successivamente, probabilmente per mano di un autore della scuola romana di Pietro Cavallini, fu eseguito il dipinto della Madonna, che in attesa di compiere il primo miracolo – come sottolineano i versi di un poeta dialettale – "stette lì, sola soletta, pe’ tre secoli bòni, allo scoperto".

In quell'epoca, infatti, un po’ tutta la campagna romana, ma in particolare quel tratto, era arida e abbandonata. Solo d’inverno vi si spingeva qualche pastore per far pascolare il gregge di pecore. In tanta desolazione, l'unico segno di vita e di conforto era appunto il dipinto della Madonna, ai piedi della quale la sera i pastori si riunivano per recitare il rosario.
Nel 1740, in un pomeriggio di primavera, accadde il miracolo. E l'immagine della Madonna dipinta su quella torre diroccata divenne presto la meta di pellegrini, "sempre più devoti e numerosi, che ricevevano numerose grazie".

NEL 1740 A CASTEL DI LEVA: STORIA DEL PRIMO MIRACOLO

Èun giorno di primavera del 1740. Un viandante, probabilmente un pellegrino diretto a San Pietro, si smarrisce per quegli squallidi e deserti sentieri di campagna nei pressi di Castel di Leva, una dozzina di chilometri a sud dell’Urbe. Nell’aria si avverte intenso l’odore della camomilla e del finocchio selvatico. Ma a quel tempo l’agro romano non doveva apparire particolarmente attraente. Tanto da fare una pessima impressione, sul finire di quello stesso secolo, anche al celebre letterato Vittorio Alfieri: "...vuota, insalubre region che Stato ti vai nomando, Aridi campi incolti squallidi oppressi estenuanti volti". E il poeta dialettale Gioacchino Belli, qualche anno più tardi, così gli avrebbe fatto eco: "...Fà dieci mija e nun vedè nà fronna! Imbatte ammalappena in quarche scojo! Dappertutto un silenzio come n’ojo".

 


Si trattava di vaste estensioni incolte, punteggiate di qualche antico rudere, aride d’estate e buone solo per il pascolo delle pecore d’inverno. I pastori e i contadini, che vi passavano alcuni giorni per la raccolta del fieno, evitavano di abitarvi stabilmente anche a causa della malaria.

Smarrirsi per quelle terre, pertanto, non doveva essere proprio così piacevole. Allo stesso modo affrontare un pellegrinaggio per pregare sulla tomba dell’apostolo Pietro non doveva precisamente assomigliare a quella che oggi noi siamo abituati a chiamare una scampagnata. Alla fatica del cammino e all’asprezza delle intemperie cui si era esposti, si aggiungeva il rischio di cadere vittima in qualche imboscata tesa da briganti e banditi. Avendo però scorto alcuni casali e un castello diroccato in cima ad una collina, il viandante vi si dirige di buon passo nella speranza di ottenere qualche informazione utile per rimettersi sulla giusta strada.

 

Ma proprio mentre sta per fare ingresso nel castello viene assalito da una muta di cani rabbiosi. Le belve inferocite lo circondano e sembrano non offrirgli via di scampo. Impaurito, anzi letteralmente terrorizzato, il poveretto alza lo sguardo e si accorge che sulla torre, c’è un’immagine sacra. È la Vergine con il Bambino, sovrastata dalla colomba dello Spirito Santo, che è il Divino Amore. Come un naufrago che si aggrappa alla sua scialuppa, con tutta la forza di cui è capace, urla: "Madonna mia, grazia!".

È un attimo. Le bestie, che ormai gli sono addosso, di colpo si fermano. Sembra quasi che obbediscano mansuete ad un ordine misterioso.

Al richiamo di quell'urlo disperato i pastori che sono nei pressi accorrono e, dopo avere ascoltato quell’incredibile racconto, rimettono il pellegrino sulla strada per Roma. Di quell’uomo non si saprà mai il nome. Sappiamo con certezza, invece, che non stette zitto, ma raccontò per filo e per segno tutto quello che gli era accaduto a chiunque incontrasse o dovunque andasse. Tanto che quel luogo, Castel di Leva, come riportano le cronache del tempo, divenne assai famoso: "Non si distingueva più il giorno dalla notte e continuamente era un accorrere di pellegrini sempre più devoti e numerosi, che ricevevano numerose grazie".

UNA CASA PER LA MADONNA

L’eco di quanto era accaduto e, soprattutto, il concorso di pellegrini, furono tanto vasti da spingere ben presto la gerarchia ecclesiastica a volerci vedere chiaro. Il Cardinale Vicario, il carmelitano scalzo Giovanni Antonio Guadagni, si recò in visita a Castel di Leva. Si decise così di trovare subito un tetto alla Madonna. L’immagine fu staccata dall’antica torre e trasportata nella chiesetta di Santa Maria ad Magos, a due chilometri da Castel di Leva, in località Falcognana.

La decisione non fu indolore. E non solo perché la scarsa perizia con cui, nel 1742, fu eseguito il distacco dell’affresco dal muro ha portato a danni non più riparabili, e anzi aggravati da incauti e numerosi restauri successivi. Il trasferimento della miracolosa immagine scatenò, infatti, il finimondo tra il Capitolo di San Giovanni in Laterano, alla cui giurisdizione apparteneva la chiesetta di Falcognana, e il Conservatorio di Santa Caterina della Rota ai Funari, proprietario di Castel di Leva e quindi del dipinto.

A dirimere il contenzioso dovette intervenire la Sacra Rota: con sentenza definitiva dell’8 marzo 1743 si decise per l’appartenenza dell’immagine al Conservatorio di Santa Caterina, precisando che le offerte dei pellegrini dovevano servire per la costruzione di una chiesa.

In breve si pose mano ai lavori, per i quali si incaricò l’architetto campano Filippo Raguzzini. In poco meno di un anno la nuova chiesa, edificata sul luogo del miracolo, era pronta per ospitare l’immagine della Madonna. Il 19 aprile, lunedì di Pasqua 1745, si procedette al trasferimento. Le cronache del tempo annotano una gigantesca folla di romani e di abitanti dei Castelli, con tanto di gonfaloni e di confraternite, che fece da corona al carro che trasportò la prodigiosa effigie dalla chiesetta di Santa Maria ad Magos al Santuario appena eretto. Per l’occasione papa Benedetto XIV concesse ai partecipanti l’indulgenza plenaria, che potevano lucrare anche coloro che avessero visitato l’immagine in uno dei sette giorni seguenti quello del trasferimento.

Durante l’Anno Santo del 1750, il 31 maggio, si procedette alla solenne dedicazione della chiesa e dell’altare maggiore al Divino Amore, che è poi il titolo che meglio di ogni altro spiega chi è Maria: una ragazza che accettò di diventare Madre del Salvatore perché ripiena dello Spirito Santo, cioè del Divino Amore. La celebrazione fu presieduta dal Vescovo di Padova, il Cardinale Carlo Rezzonico, che otto anni più tardi salirà al soglio pontificio, con il nome di Clemente XIII.


Il Titolo Mariano
Il titolo di "Madonna del Divino Amore" vuol dire che non bisogna mai separare Maria dal suo divino artefice e sposo, lo Spirito Santo. Significa che, come per la Beata Vergine, così anche per ciascuno di noi, senza lo Spirito Santo non si può agire rettamente e non si può divenire costruttori di una società nuova. È lo Spirito Santo, che Gesù ci ha meritato, a sostenere il compito della comunità cristiana. Da parte sua, infatti, la Chiesa non mira che a questo: continuare, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l’opera stessa di Cristo.

Per tutta la Chiesa, il terzo millennio che si è aperto è segnato dalla presenza della Beata Vergine Maria, nella sua divina maternità: l’incarnazione e la nascita di Gesù Cristo dipendono da lei. Lo Spirito Santo, il Divino Amore, l’ha resa madre del Figlio di Dio.Il Santuario del Divino Amore vive questo tempo - come Maria di Nazareth - non in maniera inerte e distratta, ma con una sollecitudine che si apre all’azione dello Spirito che in lei trovò dimora. In questo luogo, che ricorda e fa rivivere lo stesso evento, ci sentiamo tutti coinvolti nel ricreare continuamente quella atmosfera mariana e spirituale che aiuta i pellegrini a scoprire il progetto di Dio sulla loro vita.
Con il Grande Giubileo dell’anno 2000 il Santuario è stato coinvolto in modo ufficiale nelle celebrazioni degli anni santi. Anche la sua storia iniziò proprio in coincidenza con il Giubileo del 1750, quando venne aperto al culto e all’accoglienza dei pellegrini, inaugurando una lunga serie di manifestazioni di fede e di pietà che ne hanno fatto uno spazio sacro, che stimola alla conversione, alla penitenza e alla riconciliazione, alla risposta vocazionale e alla carità.


In occasione del Grande Giubileo del Duemila, inoltre, il Santuario ha raggiunto un traguardo che si può ben definire storico. Sono stati infatti ultimati i lavori della nuova chiesa e della casa per anziani soli. E’ stato così adempiuto il voto fatto dai romani nel 1944 alla Vergine per ottenere la salvezza della città dalle distruzioni della guerra.
Anche l’adempimento di questo voto aiuterà i devoti a comprendere in modo più profondo il significato dell’azione materna di Maria. Al Santuario arrivano tante domande di aiuto e suppliche; dal Santuario le persone ripartono rinnovate e ricche di speranza. Le domande di grazia si trasformano in doveroso ringraziamento.

La Madonna vi benedica dal suo Santuario e vi ottenga l’abbondanza delle sue grazie. Ave Maria
(Notizie tratte dal sito https://www.santuariodivinoamore.it).


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