martedì 31 maggio 2016

Collevalenza (PG) - Maria Mediatrice



Maria Mediatrice nel Santuario

Questo quadro della Santissima Vergine si trova in una delle cappelle della Basilica dell’Amore Misericordioso, a Collevalenza (PG). È opera del pittore Elis Romagnoli. Riproduce Maria Mediatrice, col giglio sul petto e con le braccia aperte in atteggiamento d’implorare misericordia dal suo divin Figlio.

Maria ha accolto nel suo cuore immacolato Gesù, significato nell’Ostia posta sul giglio.
Fin dal seno materno Gesù nutriva il desiderio ardente di sacrificarsi per noi, perché entrando nel mondo si rivolge al Padre suo con queste parole: “Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10, 5-7).

L’Ostia sul seno di Maria indica il dono eucaristico di Gesù ed invita anche noi alla stessa oblazione.

Maria Regina è piena di Spirito, schiacciando il capo del Maligno: è segno di sicura speranza della vittoria dell’Amore Misericordioso di Dio sul male del mondo (arcobaleno).

Maria è Mediatrice di Misericordia non solo perché intercede per noi presso il Figlio ottenendoci le grazie, ma anche perché con il suo “Eccomi, sono la serva del Signore” (Lc 1, 38) ci sollecita maternamente a fare altrettanto, cioè a diventare noi stessi capaci di ricevere e di donare sempre meglio la misericordia divina (tratto da http://www.amormisericordioso.org/ws/it/).


La devozione a Maria Mediatrice
(clicca sull'immagine)


lunedì 30 maggio 2016

Boccadirio (BO) - Beata Vergine delle Grazie



16 Luglio 1480 

A VOSTRO CONFORTO

«Boccadirio non è un paese e nemmeno una borgata. È soltanto una sperduta località dove c’è una chiesa, più precisamente un santuario mariano».
Lungo l’Autostrada del Sole, alla stazione di Roncobilaccio, tra Firenze e Bologna, se ne può leggere
l’indicazione ed il nome. 
Il santuario però non si può vedere da lontano. 

Situato a 719 m di altitudine, sul crinale dell’appennino tosco-emiliano, nonostante la sua mole imponente, è nascosto in fondo ad una valle solitaria, tutta circondata da boschi. 

Una cerchia di monti, tra i quali il monte Coroncina (1169 m) e il monte Tavianella, lo circondano come in un grandioso chiostro naturale.

Due piccoli torrenti, confluiscono proprio qui, dando origine al rio Davena. E siccome il Santuario sorge sulla «bocca» di questo «rio», a cavallo tra le due sponde, è chiamato di «Boccadirio».

L’Apparizione

La tradizione popolare, basata su documenti degni di fede, fa risalire la venerazione della beata Vergine, qui alla «bocca del rio Davena» alla fine del 1400.

Il 16 luglio 1480, due fanciulli, Donato Nutini e Cornelia Vangelisti, di Baragazza, si trovano in questo luogo a pascolare il gregge. Mentre attendono al pascolo, forse anche per occupare il tempo, ogni tanto si raccolgono in preghiera. Durante uno di questi momenti la Madonna, tutta avvolta in vesti bianche, appare loro, dall’altra parte del rio, su una balza verso ponente.

Muovendosi da questa balza, la santissima Vergine si avvicina ai due fanciulli dalla parte del rio, dove essi pregano. A Donato dice che diventerà sacerdote, e così felicemente avverrà; a Cornelia dice che diventerà monaca, e le mostra il monastero, nel luogo e nella forma, dove ella vivrà.

È questa la prima grazia che la celeste Signora concede loro, in risposta certo di quanto hanno chiesto nella preghiera. Per cui la loro vocazione appare come dono dall’alto e, insieme, come sicura promessa: «tu sarai sacerdote»; «tu sarai monaca».

La prima «chiesetta»

Oltre alla grazia della vocazione per i due veggenti, dono di primaria importanza, la bianca Signora porta un altro messaggio, che interessa immediatamente gli abitanti più vicini, ed in seguito interesserà quelli di tutte le vallate circostanti. La Signora chiede, infatti, ai due fanciulli, di far conoscere agli abitanti di Baragazza il suo desiderio di essere venerata in quel luogo, e promette per questo protezione e grazie. Io sono la madre di Dio, scesa dal cielo a conforto vostro e di quanti vorranno ascoltare le mie parole!

I due ragazzi ritornano alle loro case e raccontano a tutti, con grande gioia, l’apparizione e le parole ascoltate in Boccadirio.

Dopo un iniziale e naturale momento d’incertezza, la popolazione di Baragazza, presta fede al loro racconto semplice ed ingenuo. Subito si inizia a fabbricare, nel luogo dove la Madonna ha parlato ai due fanciulli, una “piccola chiesa” intitolata alla Vergine delle grazie.

È interessante notare come fin dall’inizio, a Boccadirio la Madonna è venerata e invocata come Vergine delle grazie. A Lei accorrono sempre più numerosi i pellegrini e i devoti, con il loro carico umano di miseria e di speranza, e attorno alla piccola chiesa, via via, cresce il ricco complesso architettonico che è oggi il santuario di Boccadirio.

La vocazione di Donato e Cornelia

L’apparizione della Madonna è in stretta relazione con la vocazione dei due veggenti; effettivamente la chiamata della Vergine ha avuto puntuale compimento, per entrambi i giovani, come era stato loro profeticamente annunziato: «tu sarai sacerdote»; «tu sarai monaca».

Donato Nutini, ordinato sacerdote, fu per diverso tempo cappellano a Castiglione dei Pepoli e in seguito, dal 1531 al 1548, anno della sua morte, parroco a San Pietro di Cirignano presso Barberino, come risulta dagli archivi della curia vescovile di Firenze.

Di Cornelia, la “lettera” di una sua consorella anonima, racconta che fu condotta dai suoi parenti in vari luoghi della Toscana, alla ricerca del monastero indicatole dalla Madonna nell'apparizione, e che giunse infine «al monastero di monache di Santa Caterina in Porta Leone», dove vestì l’abito religioso con il nome di suor Brigida, e fu esempio di ogni perfezione.

Sito del Santuario (clicca)

Il monastero di Santa Caterina in Porta Leone è stato ampliato e completato qualche anno più tardi, e proprio suor Brigida, diventata superiora della sua comunità, lo ha diretto con rara sapienza «per lo di anni quaranta, morendo di anni circa 74», precisamente nel 1543.

Per questo nel Santuario di Boccadirio la Madonna è invocata anche con il titolo «Madonna delle vocazioni». Il Papa Pio XII chiama Maria «Madre dei Sacerdoti» proprio nel discorso pronunciato per la beatificazione del B. Antonio Maria Pucci, il santo curato di Viareggio, che si sentì chiamare ad essere sacerdote mentre pregava davanti alla Madonna di Boccadirio. Come lui sono tanti i Sacerdoti che devono la loro vocazione proprio alla Madonna di Boccadirio.

L’Immagine

La storia dell’immagine della beata Vergine, che si venera a Boccadirio, è strettamente legata alla storia del Santuario stesso.

Il primo storico del Santuario, Don Lorenzo Amorotti, scrive che la veggente, Sr. Brigida, per lasciare perpetua memoria della grazia ricevuta con l’apparizione della Vergine, «procurò di avere un’immagine della Madonna, col Figlio in braccio, vestita di bianco, conforme all'apparizione».

Si tratta di una Madonna di chiara ispirazione “robbiana”, tipica del tardo Quattrocento; 
è un bassorilievo in terracotta invetriata, con figure bianche e fondo turchino. 

La Vergine è rappresentata seduta, a mezza figura, con il Bambino in piedi sulle ginocchia. In alto fanno corona quattro cherubini, divisi simmetricamente dalla colomba, simbolo dello Spirito Santo.

IMMAGINI:
1 La Vergine apparve ai due fanciulli di Boccadirio il 16 luglio 1480 vaticinando il loro futuro. 2-3 Suggestiva visione del Santuario della beata Vergine delle Grazie. In basso il chiostro della chiesa. 4 Quadro della Beata Vergine delle Grazie di Boccadirio

(Articolo di Don Mario Morra tratto dal sito Web:
http://www.donbosco-torino.it/ita/Maria/calendario/06-07/007-BV_delle_Grazie.html)

domenica 29 maggio 2016

Venezia (VE) - Beata Vergine La Nicopeja


Madonna Nicopeja: storia dell'icona, da 800 anni a Venezia

Due estremi pinnacoli della facciata della basilica di San Marco, richiamando l'Annunciazione, ci ricordano la tradizionale nascita di Venezia legata al mistero dell'Incarnazione del Signore. Inoltre, unita all'Annunciazione, Venezia venera l'icona della Nicopeia. Questa celebre icona di Costantinopoli, protettrice degli imperatori, si trova dal XIII secolo nella basilica di san Marco. Giunse a Venezia come bottino di una guerra che resta un ricordo doloroso per l'Oriente cristiano. Contro la peste e la guerra Tanta è l'entusiasta devozione che i veneziani hanno riservato per questa immagine che vale la pena di ripercorrere gli eventi più significativi vissuti da Venezia raccolta davanti alla Nicopeia, dopo che l'icona veniva portata in processione per la Piazza da quattro sacerdoti seguiti dal clero, dal Doge e dai nobili. L'immagine fu solennemente esposta nel 1559 per la pace conclusa tra la Francia e la Spagna e nel 1571 per la lega fatta dalla Repubblica con la Spagna e il papa Pio V. Per quindici sabati venne implorata per la cessazione della peste nel 1630 e Venezia si legò al voto del tempio e della festa della Salute. Per quindici giorni rimase esposta alla caduta della Repubblica nel 1797. Venne portata in processione ogni sera durante la grande siccità del 1820. Nel 1848 la nuova Repubblica di San Marco supplicò protezione. 


Il 6 gennaio 1917, all'incombere dei bombardamenti e dell'occupazione austriaca, Venezia accorse in preghiera all'invito del Patriarca Pietro La Fontaine ed emise il voto del tempio al Lido. Nel 1919 e 1945, al termine delle due guerre mondiali, ancora una volta Venezia si radunò riconoscente davanti alla Madre di Dio. Ancor oggi, ogni domenica al termine della celebrazione dei Vespri, il capitolo assieme ai fedeli si reca a rendere omaggio alla Nicopeia al canto delle litanie in patriarchino e chiede la protezione sulla città e su tutti gli abitanti. 

Ecco l'altare ove è posta l'icona (clicca)

La Madre presenta l'Emmanuele La preziosa icona è custodita sull'altare eretto nel 1618 nel braccio sinistro del transetto. I lineamenti del volto danno alla Vergine un aspetto orientale. Il naso, le arcate e la bocca sono disegnati con un colore scuro, su un incarnato giallo scuro. I grandi occhi sono molto espressivi col loro risalto di bianco. La testa del Bambino, circondata da capelli ricciuti, è di un incarnato più pallido. Sono segnate quattro croci, simboli della verginità di Maria. Il Bambino è molto rovinato, ma è rimasto ben visibile il gesto della Madre di Dio che con l'indice presenta l'Emmanuele, il "Dio con noi" (dal sito web http://www.genteveneta.it/).

Nikopoia (o Nikopea, Nikopeia, Nicopeia) cioè apportatrice di vittoria è un attributo di Maria (madre di Gesù) e una tipologia di icona bizantina, in cui Maria è rappresentata frontalmente, seduta in trono e con il Bambin Gesù in braccio. Forse per imitazione della presenza di una Madonna Nikopoia in Santa Sofia a Costantinopoli, i Veneziani posero una immagine analoga nella Basilica di San Marco. La theotokos Nikopoia è analoga alla kiriotissa e alle Madonne in Maestà toscane. Molto diverse dal punto di vista iconografico, anche se concettualmente analoghe, sono le Madonne della Vittoria, dipinte in Occidente soprattutto dopo la battaglia di Lepanto.

sabato 28 maggio 2016

La Vergine del Cobre

Dicono che è grazie alla sua intercessione che Cuba guadagnò l’indipendenza nella guerra ispano-americana del 1898. La popolazione ha venerato la Vergine del Cobre anche durante la dittatura comunista, sotto Fidel Castro. “Lei è il cuore spirituale di tutti i Cubani” ed “un simbolo della nazionalità e della cultura cubane, anche per i non-credenti” – assicura l’Arcivescovo di Santiago di Cuba parlando dell’immagine della Madonna, conosciuta come Patrona di Cuba e Vergine della Carità.
Alle processioni mariane hanno preso parte anche militari e politici di alto rango.

La leggenda vuole che nel 1612 tre ragazzini abbiano scorto l’immagine della Vergine galleggiare fra le onde della Baia di Nipe. La statuetta, quando i giovani pescatori la tirarono via dall'acqua, era asciutta e sul suo piedistallo c’era scritto: “Sono la Vergine della Carità”. I ragazzi si precipitarono al Cobre, con la “loro scoperta”, e qui la gioia dei credenti fu talmente grande che in Suo onore vennero eretti un altare ed una cappella. Per celebrare il quarto centenario da tale ritrovamento, la statuetta della Vergine (alta appena 30 centimetri) è stata accolta, in un viaggio durato un anno e mezzo, in tutte le diocesi dell’isola.

I decenni di propaganda atea, del primo Stato comunista del mondo occidentale, hanno lasciato traccia. Ufficialmente nell'isola vivono 6,7 milioni di cattolici che, insieme ai cristiani evangelici, rappresentano il 69,9% della popolazione totale, ma molti di costoro non sono praticanti. Questa sembra essere, tuttavia, una situazione temporanea dal momento che il culto per la Vergine aumenta di giorno in giorno. Ogni anno, almeno mezzo milione di persone si reca in pellegrinaggio al santuario nazionale del Cobre dove, oltre alla chiesa, c’è una casa di accoglienza, una casa per le cinque suore che si occupano del Santuario, un piccolo convento per le Suore Contemplative Missionarie della Carità, una vecchia casa parrocchiale ed una casa per esercizi spirituali e congressi che, ad oggi, è l’unico centro di formazione ecclesiale della provincia.

È da più di mezzo secolo che non viene fatta alcuna opera di ristrutturazione integrale del complesso, i cui edifici furono in parte usati dai comunisti per altri fini. Però la Vergine è rimasta lì, ed i cubani Le sono fedeli devoti. È giunto il momento di avviare le necessarie opere di ristrutturazione. Con una campagna dal titolo “Da ogni cubano una moneta per la Vergine del Cobre”, i Vescovi sperano di raccogliere almeno il 10% dei costi di ristrutturazione del centro di pellegrinaggio. Si spera in altre donazioni da parte dei cubani in esilio. “Aiuto alla Chiesa che Soffre” desidera contribuire con 100.000 euro ai lavori di restauro. Le donazioni saranno destinate prima di tutto al rinnovamento della casa di accoglienza (per gli ospiti del santuario) e della casa parrocchiale. I Vescovi sperano che prima dell’arrivo del Papa possa essere costruita anche una piazza, una Via Crucis ed una sala polivalente. 

Dopo la visita fatta da Papa Giovanni Paolo II, nel 1998, in occasione della quale il pontefice incoronò la Vergine del Cobre, Cuba ha riallacciato a poco a poco le sue relazioni con la Chiesa Cattolica. (tratto dal sito Aiuto Alla Chiesa che Soffre: http://acs-italia.org/progetti-in-corso/test-progetto-in-corso/#.U2YsHfl_swB)


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L’Identità cubana e la devozione per la vergine della carità
Il cappellano del santuario nazionale della Virgen de la Caridad, vicino a Santiago de Cuba, spiega il significato della devozione dei cubani verso la madre di Cristo


venerdì 27 maggio 2016

Loreto (AN) - Madonna di Loreto



La Santa Casa di Loreto
"La Santa Casa di Loreto è il primo Santuario di portata internazionale dedicato alla Vergine e vero cuore mariano della cristianità" (Giovanni Paolo lI). Il Santuario di Loreto conserva infatti, secondo un'antica tradizione, oggi comprovata dalle ricerche storiche e archeologiche, la casa nazaretana della Madonna. La dimora terrena di Maria a Nazaret era costituita da due parti: da una Grotta scavata nella roccia, tuttora venerata nella basilica dell'Annunciazione a Nazaret, e da una camera in muratura antistante, composta da tre pareti di pietre poste a chiusura della grotta. 

Secondo la tradizione, nel 1291, quando i crociati furono espulsi definitivamente dalla Palestina, le pareti in muratura della casa della Madonna furono trasportate "per ministero angelico", prima in Illiria (a Tersatto, nell'odierna Croazia) e poi nel territorio di Loreto (10 dicembre 1294). Oggi, in base a nuove indicazioni documentali, ai risultati degli scavi archeologici a Nazaret e nel sottosuolo della Santa Casa (1962-65) e a studi filologici e iconografici, si va sempre più confermando l'ipotesi secondo cui le pietre della Santa Casa sono state trasportate a Loreto su nave, per iniziativa della nobile famiglia Angeli, che regnava sull'Epiro. Infatti, un documento del settembre 1294, scoperto di recente, attesta che Niceforo Angeli, despota dell'Epiro, nel dare la propria figlia Ithamar in sposa a Filippo di Taranto, quartogenito di Carlo II d'Angiò, re di Napoli, trasmise a lui una serie di beni dotali, fra i quali compaiono con spiccata evidenza: 

"le sante pietre portate via dalla Casa della
Nostra Signora la Vergine Madre di Dio". 

Murate tra le pietre della Santa Casa sono state trovate cinque croci di stoffa rossa di crociati o, più probabilmente, di cavalieri di un ordine militare che nel medioevo difendevano i luoghi santi e le reliquie. 


Vi sono stati trovati anche alcuni resti di un uovo di struzzo, il quale subito richiama la Palestina e una simbologia riferentesi al mistero dell'Incarnazione. La Santa Casa inoltre, per la sua struttura e per il materiale in pietra non reperibile in zona, è un manufatto estraneo alla cultura e agli usi edilizi marchigiani. D'altra parte i raffronti tecnici della Santa Casa con la Grotta di Nazaret hanno messo in luce la coesistenza e la contiguità delle due parti. A conferma della tradizione è di grande importanza un recente studio sul modo in cui sono lavorate le pietre, cioè secondo l'uso dei Nabatei, diffuso nella Galilea ai tempi di Gesù. 


Di grande interesse risultano anche numerosi graffiti incisi sulle pietre della Santa Casa, giudicati dagli esperti di chiara origine giudeo-cristiana e assai simili a quelli riscontrati a Nazaret. La Santa Casa, nel suo nucleo originario è costituita solo da tre pareti perché la parte orientale, ove sorge l'altare, era aperta verso la Grotta. Le tre pareti originarie - senza fondamenta proprie e poggianti su un'antica via - si innalzano da terra per tre metri appena. Il materiale sovrastante, costituito da mattoni locali, è stato aggiunto in seguito, compresa la volta (1536), per rendere l'ambiente più adatto al culto. 


Il rivestimento marmoreo, che avvolge le pareti della Santa Casa, fu voluto da Giulio II e fu realizzato su disegno del Bramante (1507 c). da rinomati artisti del Rinascimento italiano. La statua della Vergine col Bambino, in legno di cedro del Libano, sostituisce quella del sec. XIV, distrutta da un incendio nel 1921. Grandi artisti si sono succeduti lungo i secoli per abbellire il Santuario la cui fama si è diffusa rapidamente in tutto il mondo divenendo meta privilegiata di milioni di pellegrini. L'insigne reliquia della Santa Casa di Maria è per il pellegrino occasione e invito per meditare gli alti messaggi teologici e spirituali legati al mistero dell'Incarnazione e all'annuncio della Salvezza.




La S. Casa, nel suo nucleo originario, è costituita da sole tre pareti, perché la parte dove sorge l'altare dava, a Nazaret, sulla bocca della Grotta e, quindi, non esisteva come muro. Delle tre pareti originarie le sezioni inferiori, per quasi tre metri di altezza, sono costituite prevalentemente da filari di pietre, per lo più arenarie, rintracciabili a Nazaret, e le sezioni superiori aggiunte successivamente e, quindi spurie, sono in mattoni locali, gli unici materiali edilizi usati nella zona.


Alcune pietre risultano rifinite esternamente con tecnica che richiama quella dei nabatei, diffusa in Palestina e anche in Galilea fino ai tempi di Gesù. Vi sono stati individuati una sessantina di graffiti, molti dei quali giudicati dagli esperti riferibili a quelli giudeo-cristiani di epoca remota, esistenti in Terra Santa, compresa Nazaret. Le sezioni superiori delle pareti, di minor valore storico e devozionale, nel secolo XIV furono coperte da dipinti a fresco, mentre le sottostanti sezioni in pietra furono lasciate a vista, esposte alla venerazione dei fedeli.

Il rivestimento marmoreo è il capolavoro dell'arte lauretana. Esso custodisce l'umile Casa di Nazareth come lo scrigno accoglie la perla. Voluto da Giulio II ed ideato dal sommo architetto Donato Bramante, che nel 1509 ne approntò il disegno, fu attuato sotto la direzione di Andrea Sansovino (1513-27), di Ranieri Nerucci e di Antonio da Sangallo il Giovane. In seguito furono collocate nelle nicchie le statue delle Sibille e dei Profeti.

Il rivestimento è costituito da un basamento con ornamentazioni geometriche, da cui si diparte un ordine di colonne striate a due sezioni, con capitelli corinzi che sostengono un cornicione aggettante. La balaustra è stata aggiunta da Antonio da Sangallo (1533-34) con lo scopo di nascondere la goffa volta a botte della S. Casa e di circoscrivere con elegante riquadratura tutto il mirabile recinto marmoreo (Articolo tratto dal sito www.santuarioloreto.it/).

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giovedì 26 maggio 2016

Grottaglie (TA) - Maria SS.ma della Mutata


Santa Maria “in silvis”. Il santuario di Santa Maria Mutata presso Grottaglie

Il santuario di S. Maria della Mutata, posto a poco più di sei chilometri sulla strada che da Grottaglie porta a Martina, è dedicato alla Vergine Assunta ed è sito in quella che una volta era denominata la Foresta Tarantina, ai piedi dei monti di Martina, per cui è anche detta S. Maria in Silvis.

Una chiesa storicamente molto importante non solo per gli abitanti di Grottaglie ma anche dei paesi vicini che, in particolare la Domenica in Albis, successiva alla Pasqua, e il 15 agosto, festa dell’Assunta, vi accorrono ancora numerosi per venerarla.

Il sacro tempio, oggi affidato ai Padri Minimi di Grottaglie, è stato elevato a Santuario Mariano della città della ceramica e della diocesi di Taranto con decreto dell’arcivescovo Mons. Ferdinando Bernardi del 1 aprile 1954.

L’appellativo di Mutata è da riferirsi, secondo la tradizione, a un fatto prodigioso avvenuto nel 1359: “V’era un contrasto tra gli abitanti di Grottaglie e quelli di Martina per il possesso della detta chiesa; l’immagine della Madonna era dipinta sulla parete a Sud e guardava verso la Terra di Martina per cui i martinesi deduceva­no l’affermazione dei loro diritti; ma un giorno la stessa immagine venne ritrovata dipinta sulla parete a Nord guardando verso Grottaglie. Per tale repentino cambiamento è chiamata S. Maria di Mutata”.



Su tale titolo esistono, però, molte opinioni. Come spiega lo storico Ciro Cafforio nella sua monografia Santa Maria Mutata nell’ex feudo di San Vittore della mensa arcivescovile di Taranto,(Taranto 1954), è più probabile che “Mutata” si riferisca ai vari punti di riposo, di rifornimento e di cambio delle cavalcature anticamente dislocate lungo le strade e perciò il toponimo indicherebbe questa “mutazione”.
Nel 1634 l’antico tempio, risalente secondo alcuni storici al secolo X, risulta completo in tutte le sue parti, anche nella decorazione delle volte e delle pareti, come si rileva dalla data che corre sotto lo stemma dell’arcivescovo di Taranto cardinal Egidio Albornoz (1630-1637) dipinto al centro della navata maggiore, sulla porta interna dell’arco che guarda l’altare.


La facciata (vedi foto in alto), molto semplice si suddivide in tre sezioni: le due laterali a superficie liscia hanno due finestre e terminano in alto a linea orizzontale. A coronamento della sezione di sinistra sorge l’edicola campanaria a vela, con due archi sotto i quali sono sospese le campane. La sezione centrale della facciata, più alta e più larga delle laterali, è animata da cinque lesene sulle quali si sviluppa un frontone triangolare con interruzione al vertice, nella quale si innesta una croce greca. La lesena di mezzo è annullata dal basso fino al capitello da due vuoti: la porta di entrata al santuario ha sull’architrave il motivo decorativo del frontone più in alto una nicchia contenente il simulacro della Vergine della Mu­tata in terracotta colorata.
L’interno della chiesa, escluse la sagrestia e le cappelle terminali delle navate, è a base quadrata, misurando m. 15 di lato.
La navata centrale, larga 8 m. è formata da tre campate con volte a crociera piuttosto basse e termina in fondo con l’abside sulla cui parete, in un grande armadio di legno del Seicento con intagli dorati e colorati su fondo bianco, si può ammirare il miraco­loso Crocifisso risalente al secolo XV e ricordato nella visita di Mons. Brancaccio del 1577.
Ai lati sono inquadrate due piccole tele di buona fattura (sec. XVII), rappresentanti due episodi della passione: Gesù legato alla colonna e Gesù con la canna. Armadio e pitture sono della prima metà del Seicento.



Nella navata laterale, a sinistra entrando in chiesa, si eleva il primo altare, sul quale era collocata un’antica tela del primo Settecento riproducente la Vergine del Carmelo tra San Lorenzo e S. Francesco di Paola, trafugata alcuni anni fa. L’ultimo altare della navata sinistra, in origine intitolato a Santa Barbara, ospitava un grande quadro della martire e venne fatto dipingere da D. Antonio Ettorre nei primissimi anni del Settecento; venne poi rimosso per ospitare un quadro di San Ciro del Solimena, sostituito a sua volta con altro quadro raffigurante sempre S. Ciro, del pittore grottagliese Ciro Fanigliulo. Tutti questi quadri sono stati, purtroppo, rubati. Nella navata destra, sotto la prima campata, s’innalza l’altare con la statua di S. Giuseppe in pietra calcarea dipinta, a grandezza naturale, in atto di condurre per mano il Bambino Gesù (sec. XVIII). Fra i due pilastri che seguono, si apre una nicchia in cui fino a qualche anno fa si conservava una piccola e interessante statua romanica della Vergine in pietra bianca (sec. XII o XIII), ritrovata nei primi anni del Novecento sotto l’altare maggiore; recentemente restaurata è sistemata attualmente nella chiesa madre per motivi di sicurezza.


mercoledì 25 maggio 2016

Parma (PR) - Santa Maria della Steccata


La chiesa della Steccata, splendido esempio dell'architettura rinascimentale parmense, sorse su un terreno già anticamente venerato per una popolare tradizione religiosa.

Qui infatti esisteva fin dal 1392 un oratorio eretto per ospitare una miracolosa immagine di S. Giovanni Battista; questo oratorio era affidato ad una Confraternita religiosa che si riuniva in una casa vicina sulla cui facciata era dipinta una immagine della Vergine allattante il Bambino.
Già verso la fine XV secolo correva voce che questa immagine compisse numerosi miracoli per cui fu necessario, per salvaguardarla dalla folla che sostava in preghiera, mettere a sua protezione uno steccato.
Da questa religiosità popolare deriva quindi il nome della successiva grande chiesa edificata per onorare e custodire degnamente la preziosa immagine.
La costruzione del monumento fu iniziata nel 1521, secondo il progetto di Giovan Francesco Zaccagni e di Bernardino suo padre che già aveva fornito una valida prova della propria abilità di costruttore e della piena maturità del suo stile nella costruzione della chiesa di San Giovanni Evangelista.
I lavori, avviati dapprima piuttosto lentamente, procedettero speditamente dal 1522 al 1524, anno in cui sorse una difficile polemica con i D'Agrate (a cui erano stati affidati i particolari) circa la costruzione della loggia esterna.
Portata la questione davanti ad una commissione giudicatrice, gli Zaccagni riuscirono ad avere ragione, ma tuttavia verso la fine del 1525 vennero licenziati e i lavori proseguirono sotto la direzione di Giovan Francesco d'Agrate che modificò in parte l'originale iconografia bramantesca del progetto dello Zaccagni, senza tuttavia alterare profondamente la fisionomia dell'edificio.
Ancora altre trasformazioni si ebbero dietro suggerimento di Antonio di Sangallo ed infine la chiesa, oramai terminata, fu consacrata il 24 febbraio 1539.




Ulteriori modifiche furono apportate con la costruzione di successive sagrestie, fino all'edicazione della "sagrestia nobile" e con l'allungamento, alla fine del XVII secolo, del nicchione meridionale per ospitare il grande coro. Autori della sistemazione sia interna che esterna furono Mauro Oddi e, dal 1702, Edelberto della Nave.
Nell'Ottocento è soprattutto da rilevare la sistemazione del sotterraneo adattato a sacrario dei Farnese e dei Borbone per volere di Maria Luigia d'Austria. Durante questo secolo il monumento è stato più volte restaurato e ricondotto all'antico aspetto, dopo i danni subiti durante l'ultima guerra. 

Il 4 aprile 1521, nello stesso anno in cui Francesco Guicciardini, in nome di Leone X, prendeva possesso di Parma, contesa e alternatamente occupata in quel tempo dai Francesi, dai duchi di Milano e dalla chiesa. Nicolò Urbani, vescovo di Lodi e suffraganeo dell'ordinario parmense, collocava solennemente la prima pietra della chiesa di Santa Maria dello Steccato, così detta perché sorta sul luogo di un oratorio, detto di "San Giovanni Battista della Steccata" e fondato nel 1392, per accogliere l'immagine, ritenuta miracolosa, di S. Giovanni Battista, già sul muro di una casa e protetta da una steccata.
In questo oratorio era anche un affresco con la "Madonna allattante", che ebbe anch'esso grande fama, per cui già nel 1498 l'oratorio prese il nome di "Beata Vergine della Steccata", passato poi alla nuova chiesa.
Fu dato incarico per la costruzione dagli "Ufficiali" della Confraternita, a Giovan Francesco Zaccagni, architetto, e a Bernardino suo padre, capomastro. Il lavoro, in quell'anno, non andò oltre le fondamenta, mentre i successivi, dal 1522 al 1524, furono fecondi e proficui, come si rileva dai numerosi pagamenti testimoniati dai documenti dell'archivio di Santa Maria della Steccata.

La chiesa - che rispecchia la concezione di edificio a pianta centrale ispirata dal bramantesco San Pietro a Roma - doveva essere a croce greca, con cupola incassata fra quattro torri chiuse.
Sulle quattro absidi, tre delle quali dovevano avere una porta, correva all'esterno un giro di logge e vi si innestavano piccole cappelle semicircolari; quanto al materiale da usarsi era previsto il cotto per la struttura ed il marmo per gli elementi decorativi.
Questi, che consistevano in ornati di finestre e porte, capitelli, paraste, e transenne, vennero affidati esclusivamente ai D'Agrate, soprattutto a Giovan Francesco che, nel 1524, si oppone agli Zaccagni per la costruzione della loggia esterna. Scelto come arbitro il priore Brianza, invano Giovan Francesco Zaccagni sostiene con Marcantonio Zucchi le ragioni del suo progetto, ispirato a necessità costruttive ed estetiche, in quanto senza il loggiato "non saria il carico uguale" e "la dicta fabrica averia del nano"; dopo lunghe dispute, nonostante che l'arbitrato fosse stato a lui favorevole, riuscì invece vittorioso il D'Agrate; ma per tutto il 1525 gli Zaccagnicontinuano a lavorare alla fabbrica e solo alla fine di quell'anno vengono licenziati, forse a causa di alcune lesioni che si verificarono nella chiesa (Notizie tratte dal sito http://www.santuari.it/steccata/menustoria.asp).


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martedì 24 maggio 2016

Beata Vergine Maria Ausiliatrice


Maria Ausiliatrice, la Madonna dei tempi difficili

Maria è la “Madre della Chiesa”; Ausiliatrice del popolo cristiano nella sua continua lotta per la diffusione del Regno di Dio. “Auxilium Christianorum”, ‘Aiuto dei Cristiani’, è il bel titolo che è stato dato alla Vergine Maria in ogni tempo e così viene invocata anche nelle litanie a lei dedicate dette anche Lauretane perché recitate inizialmente a Loreto.

“Auxilium Christianorum”Aiuto dei Cristiani - 

è il bel titolo che è stato dato alla Vergine Maria in ogni tempo e così viene invocata anche nelle litanie a Lei dedicate dette anche Lauretane perché recitate inizialmente a Loreto.
Sulle virtù, la vita, la predestinazione, la maternità, la mediazione, l’intercessione, la verginità, l’immacolato concepimento, i dolori sofferti, l’assunzione di Maria, sono stati scritti migliaia di volumi, tenuti vari Concili, proclamati dogmi di fede, al punto che è sorta un’autentica scienza teologica: la Mariologia.
E sempre è stata ribadita la presenza mediatrice e soccorritrice della Madonna per chi la invoca, a lei fummo affidati come figli da Gesù sulla Croce e a noi umanità è stata indicata come madre, nella persona di Giovanni apostolo, anch’egli ai piedi della Croce. 


Ma la grande occasione dell’utilizzo ufficiale del titolo “Auxilium Christianorum” si ebbe con l’invocazione del grande papa mariano e domenicano san Pio V (1566-1572), che le affidò le armate ed i destini dell’Occidente e della Cristianità, minacciati da secoli dai turchi arrivati fino a Vienna, e che nella grande battaglia navale di Lepanto (1571) affrontarono e vinsero la flotta musulmana.
Il papa istituì per questa gloriosa e definitiva vittoria, la festa del S. Rosario, ma la riconoscente invocazione alla celeste Protettrice come “Auxilium Christianorum”, non sembra doversi attribuire direttamente al papa, come venne poi detto, ma ai reduci vittoriosi che ritornando dalla battaglia, passarono per Loreto a ringraziare la Madonna; lo stendardo della flotta invece, fu inviato nella chiesa dedicata a Maria a Gaeta dove è ancora conservato.

Il grido di gioia del popolo cristiano si perpetuò in questa invocazione; il Senato veneziano fece scrivere sotto il grande quadro commemorativo della battaglia di Lepanto, nel Palazzo Ducale: 

 

“Né potenza, né armi, né condottieri ci hanno condotto alla vittoria, ma Maria del Rosario” e così a fianco agli antichi titoli di "Consolatrix afflictorum" (Consolatrice degli afflitti) e "Refugium peccatorum" (Rifugio dei peccatori), si aggiunse per il popolo e per la Chiesa "Auxilium Christianorum" (Aiuto dei cristiani). 
Il culto pur continuando nei secoli successivi, ebbe degli alti e bassi, finché nell’Ottocento due grandi figure della santità cattolica, per strade diverse, ravvivarono la devozione per la Madonna del Rosario con il beato Bartolo Longo a Pompei e per la Madonna Ausiliatrice con S. Giovanni Bosco a Torino.
Il grande educatore ed innovatore torinese, pose la sua opera di sacerdote e fondatore sin dall'inizio, sotto la protezione e l’aiuto di Maria Ausiliatrice, a cui si rivolgeva per ogni necessità, specie quando le cose andavano per le lunghe e s’ingarbugliavano; a Lei diceva: "E allora incominciamo a fare qualcosa?". S. Giovanni Bosco, nato il 16 agosto 1815 presso Castelnuovo d’Asti e ordinato sacerdote nel 1841, fu il più grande devoto e propagatore del culto a Maria Ausiliatrice, la cui festa era stata istituita sotto questo titolo e posta al 24 maggio, qualche decennio prima, dal papa Pio VII il 24 maggio 1815, in ringraziamento a Maria per la sua liberazione dalla ormai quinquennale prigionia napoleonica. 


Il grande sacerdote, apostolo della gioventù, fece erigere in soli tre anni nel 1868, la basilica di Maria Ausiliatrice nella cittadella salesiana di Valdocco - Torino; sotto la Sua materna protezione pose gli Istituti religiosi da lui fondati e ormai sparsi in tutto il mondo: la Congregazione di S. Francesco di Sales, sacerdoti chiamati normalmente ‘Salesiani di don Bosco’; le ‘Figlie di Maria Ausiliatrice’ suore fondate con la collaborazione di s. Maria Domenica Mazzarello e per ultimi i ‘Cooperatori Salesiani’ per laici e sacerdoti che intendono vivere lo spirito di ‘Don Bosco’, come è generalmente chiamato. Le Congregazioni sono così numerose, che si vede con gratitudine la benevola protezione di Maria Ausiliatrice nella diffusione di tante opere assistenziali ed a favore della gioventù. 
Ormai la Madonna Ausiliatrice è divenuta la ‘Madonna di Don Bosco’ essa è inscindibile dalla grande Famiglia Salesiana, che ha dato alla Chiesa una schiera di santi, beati, venerabili e servi di Dio; tutti figli che si sono affidati all’aiuto della più dolce e potente delle madri.
Interi Continenti e Nazioni hanno Maria Ausiliatrice come celeste Patrona: l’Australia cattolica dal 1844, la Cina dal 1924, l’Argentina dal 1949, la Polonia fin dai primi decenni del 1800, diffusissima e antica è la devozione nei Paesi dell’Est Europeo.
Nella bella basilica torinese a Lei intitolata, dove il suo devoto figlio s. Giovanni Bosco e altre figure sante salesiane sono tumulate, vi è il bellissimo e maestoso quadro, fatto eseguire dallo stesso fondatore, che rappresenta la Madonna Ausiliatrice che con lo scettro del comando e con il Bambino in braccio, è circondata dagli Apostoli ed Evangelisti ed è sospesa su una nuvola, sullo sfondo a terra, il Santuario e l’Oratorio come appariva nel 1868, anno dell’esecuzione dell’opera del pittore Tommaso Lorenzone.
Il significato dell’intero quadro è chiarissimo; come Maria era presente insieme agli apostoli a Gerusalemme durante la Pentecoste, quindi all’inizio dell’attività della Chiesa, così ancora Lei sta a protezione e guida della Chiesa nei secoli, gli apostoli rappresentano il papa ed i vescovi (Articolo di Antonio Borrelli tratto dal sito Santi e Beati).

Preghiere:

lunedì 23 maggio 2016

Acireale (CT) - Maria Bambina



LA VITA DELLA VERGINE

II culto di Maria Bambina, o più precisamente, della Natività di Maria, è molto antico: nato già nel V secolo. verosimilmente a Gerusalemme, dove la tradizione vuole la casa natale della Vergine, è attestato in Occidente a partire dal VII secolo. La festività, fissata l'8 settembre perché questa era l'inizio dell'anno ecclesiastico bizantino.

Ad Acireale si ammirano quattro immagini di Maria Bambina. tulle attribuite a Pietro Paolo Vasta. Sarebbe la sua prima raffigurazione del genere. La piccola tela conservata nella sacrestia della Chiesa di S. M. del Suffragio. Una tela si trova nella Basilica dei SS. Pietro e Paolo, collocata su una delle pareti della Cappella del Divino Amore.
La Maria Bambina dialoga in questo sacello con le scene veterotestamentarie di Alessandro D'Anna.
II programma iconografico dell' immagine è tutt'altro che ingenuo: la piccola figurina di Maria, infagottata nella rigida fasciatura adornala di una rosa, è dichiaratamente raffigurata come la Nuova Eva che sottomette il serpente edenico e come la donna - secondo I'Apocalisse coronata di dodici stelle - la cui stirpe vincerà il peccato: sul grande globo, intrecciate al monogramma mariano, si leggono l’Alfa e l’Omega.
Il culto di Maria Bambina nella Chiesa cappuccina di Santa Maria degli Angeli risale al Padre Costantino di Aci (1699-1780): estendendo alla città quella che era una particolare devozione personale, è lui ad istituire solennemente la consuetudine della festività e a far erigere nel 1754 la cappella omonima. 




Nel giorno della celebrazione della festa una statua lignea della Bambina veniva posta sull'altare maggiore insieme alla reliquia del suo capello; si tratta con ogni probabilità di quella "statuetta di Maria Bambina di legno di m.1 con testa di bronzo in pittura vestita di lamina d'argento e manta indorata con stellario d'argento e corona sul capo, fioccagli, crocetta di diamanti e una collanetta d'oro con le pietre, topazi, il cui valore complessivo ascende £ 637,50", censita in un inventario dell’11 luglio 1868 da un'apposita delegazione comunale. Anche nel dipinto (Chiesa di Santa Maria degli Angeli, secondo altare a sinistra) la Bambina agghindata in maniera regale, dalle stelle che Ie ornano il capo e il mantello, la corona, alle preziose bordure che orlano il manto e che disegnano morbide linee ondulate sulla fasciatura, al ricamo frastagliato del monogramma, alla larga cintura di grani di corallo che cinge I’esile figurina: I’ombra appena accennata di una diafana falce di luna allude – così come la figura del Padreterno e dello Spirito Santo nel riquadro soprastante - al mistero salvi fico di cui è tramite Maria. Le figure a mezzo busto di Anna e Gioacchino, ciascuna nella propria cornice, le sorridono ai lati.

(Stralcio dal libro di Daniela Vista, Iconografia Mariana nella pittura delle Chiese di Acireale)

domenica 22 maggio 2016

Udine (UD) - Madonna delle Grazie


Storia e arte

Il 12 aprile 1495 si pose la prima pietra di una nuova chiesa, in sostituzione dell’antica dedicata ai Santi Gervasio e Protasio. Il nuovo edificio ormai denominato Santa Maria delle Grazie era a navata unica, di stile architettonico romanico, con soffitto a cassettoni e con facciata adorna di rosone.
Poi il santuario venne completamente rinnovato e nel 1730 il grande architetto Giorgio Massari ricostruì la chiesa su schema che ricopiava la chiesa dei Gesuiti a Venezia, di cui era l’autore. I vari rimaneggiamenti seguenti sviarono l’idea iniziale. Dal 1838 al 1851 l’architetto Valentino Presani rimaneggiò e rimodernò la chiesa costruendo l’attuale pronao ossia l’atrio con le colonne, sul cui timpano e scritto: GRATIARUM VIRGINI SACRUM (sacro alla Vergine delle Grazie), ottenendo l’aspetto odierno.

L’imponente facciata è preceduta da una scalinata con ai lati due statue a sinistra “Madonna con Bambino” e a destra “Filippo Benizi” uno dei sette frati fondatori dell’ordine dei Servi di Maria opere di Orazio Marinali (1711).
Nell'interno a sinistra mosaico della scuola di Spilimbergo su disegno del pittore udinese Arrigo Poz che ricorda il tragico terremoto del Friuli del 1976. Sulla destra la caratteristica “maschera del diavolo” antica e preziosa armatura del ’400 restaurata alcuni anni fa a Firenze. Ad essa è legata una curiosa storia.

Nel periodo di carnevale di tanti e tanti anni fa, un giovane si mascherò da diavolo indossando l’armatura spaventando parecchi cittadini e compiendo ogni sorta di pazzie. Giunto più tardi assieme una compagnia di giovani, davanti la Basilica schernì la Madonna delle Grazie e proseguì, attraversando irriverente il cimitero allora ubicato. Quando giunto a casa, volle togliersi l’armatura, questa non usciva. Disperato, tornò davanti alla Basilica chiedendo perdono in ginocchio alla Madonna ed immediatamente egli riuscì a togliersi il pesante fardello lasciandolo poi in dono ai padri quale monito ai non credenti.


Nell’interno: “Natività di Maria” e “Adorazione dei Pastori” “Assunta” e “S. Orsola” attribuiti a Domenico Tintoretto.

Il soffitto e completamente affrescato da Lorenzo Bianchini (1825-92) con dipinti raffiguranti le Virtù della Madonna, episodi relativi all’immagine miracolosa e vari soggetti sacri. Dietro l’altare maggiore “Madonna col Bambino e Ss. Rocco, Protasio, Gervasio e Sebastiano” (1522) dell’udinese Luca Monteverde unica opera conosciuta, firmata e datata, dell’allievo di Pellegrino da S. Daniele morto a solo 26 anni. Scendendo nella navata centrale, a sinistra, c’è l’antica cappella della Madonna costruita nel 1516-18 che fu affrescata da Gaspare Negro; alla parete sinistra lacerti strappati da una casa distrutta in via Pracchiuso; ai lati a sinistra statua di “Giovanni Battista” e a destra “S. Giuseppe” (inizio sec. XVIII). Esse appartenevano all’antico altare della Madonna (1689) ora trasferito nella chiesa dell’Istituto Renati. Nell’altare moderno del 1970 sono conservate le reliquie del Beato Bonaventura da Forlì. Nell’abside il trecentesco crocifisso ligneo lasciato in dono dalle monache clarisse nel secolo scorso; alla parete destra alcuni cimeli della Beata Elena Valentinis (sec. XV) Il fonte battesimale è cinquecentesco con moderna copertura.

Proseguendo verso l’uscita, al centro della navata, c’è la cappella della Madonna con altare di Giorgio Massari e la miracolosa immagine. La tradizione vorrebbe opera bizantina del sec. XIV ma è stata attribuita ad autore occidentale dei primi del quattrocento. 

Durante la ristrutturazione del secolo XVIII, si pensò bene di costruire anche una nuova cappella che fu completata alla fine del 1769 a spese del comune di Udine. A pianta quadrata, essa è sormontata da una cupola variamente decorata.

L’altare è un capolavoro di ordine corinzio, al centro della cui pala di marmo campeggia la tavola della Madonna. 

L’immagine raffigura la Beata Vergine Maria che con il volto leggermente inclinato verso il Figlio, lo sorregge con il braccio destro, tenendo nella mano sinistra una rosa. Il Bambino Gesù si presenta nell'atto di poppare alla mammella destra della Madre e si mantiene in equilibrio afferrando il pollice destro di lei. In alto dell’immagine si leggono due sigle in lettere greche che significano “Madre di Dio”. L’icona pertanto si allaccia all'insegnamento del Concilio di Efeso in cui si proclamò la maternità divina di Maria: come segno del legame nella carne e nel sangue della madre di Dio, il Bambino è presentato nel lato di poppare.

La sostituzione di ” Maria Madre della Grazia” 
(ossia del Signore Gesù stesso) con il titolo più 
comune di Beata Vergine delle Grazie” e 
Madonna delle Grazie” 
deriva dall'esperienza che lei è misericordiosa 
verso i suoi devoti e permane via di mediazione 
delle grazie divine come sembra indicare 
la rosa che sta nella mano sinistra, che 
si rifà al significato della “rosa d’oro” 
medievale il 6 settembre 1870 l’effigie 
della Madonna delle Grazie venne solennemente 
incornata da parte del Capitolo Vaticano, (primo 
centenario della costruzione della cappella e 
proclamazione del dogma dell’Immacolata 
Concezione da parte di Pio IX) tra gli ornamenti 
che portava c’era una pesante collana appartenuta 
a Giovanni Emo.

sabato 21 maggio 2016

Cernusco sul Naviglio (MI) - Madonna di Santa Maria


Immaginetta donata da Milena Fortunato
Storia del Santuario

Alle origini, un’antica parrocchiale – Difficile risalire alle origini lontane, certamente alto medioevali, di questo Santuario, di cui non ci rimangono frammenti dell’edificio primigenio ma solo scarsi saggi dell’epoca romanica. Stando ad una pergamena del 1191, recentemente rinvenuta (ma anche ad altre del 1201 e 1206), la sua nascita, può essere accreditata attorno all'anno mille, come già sosteneva Mons. Luigi Ghezzi. Notizie più certe ed estese – ce ne informavano Nicoletta Onida e Elisabbetta Ferrario Mezzadri – possono essere tratte da documenti datati fine XIII secolo: il manoscritto “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani“, redatto dal sacerdote Goffredo da Bussero che, nell'elenco delle chiese del Milanese dedicato alla Madonna, indicava in «Cesenugio Asinario» S. Maria, ed una pergamena appartenente al Duomo di Monza, ma conservata nell'Archivio di Stato di Milano, nella quale nel 1286 si annotava, fra i territori confinanti coi propri dove riscuoteva le «decime», la chiesa di S. Maria in «Cisnuschulo», citandola ripetutamente come “istius loci“, cioè dì Cernusco Asinario.
Bisogna quantomeno accennare che Mons. Ghezzi, nel motivare le ragioni dell’allontanamento dei fedeli da S. Maria, narra che nel piccolo tempio si era insediata una confraternita di dubbia osservanza religiosa, conosciuta come «Compagnia del sacco bigio» perché gli adepti si vestivano di ruvida tela, coprendosi il viso con un cappuccio. Essi organizzavano processioni penitenziali, si flagellavano, per poi passare ad azioni sempre più deplorevoli, lontane dagli insegnamenti evangelici, tanto da meritare la soppressione della confraternita. Tuttavia questa ipotesi non trova alcun riscontro documentale, anche se in Lombardia le confraternite dei Disciplini erano al tempo numerose, appena tollerate da S. Carlo che le sottoponeva a controlli rigorosi.

La Beata Vergine delle 7 spade nel cuore:
Tutti i cristiani ricordano con commozione le parole che Maria ascoltò nel Tempio di Gerusalemme dal Santo Vecchio Simeone: «Anche a te una spada trapasserà l'anima» (Lc 2,35). E la tradizione ha devotamente catalogato i «sette dolori» che trafissero come spade il cuore immacolato di Maria. Oltre alla triste profezia di Simeone (1), appena citata, si ricordano: 2) le pene sopportate durante la fuga in Egitto; 3) la perdita di Gesù a Gerusalemme; 4) l'accompagnamento della Madre durante la Via Crucis; 5) la sosta ai piedi della Croce, durante l'agonia del Figlio; 6) l'accoglimento del corpo morto di Gesù tra le braccia della Madre; 7) lo straziante seppellimento del Figlio. Il secondo millennio ha conosciuto subito un'ampia letteratura sul «pianto della Vergine» che trova la sua più bella composizione nel celebre Stabat Mater, attribuito a Jacopone da Todi (notizie tratte da "Avvenire"). Nelle credenze popolari le sette spade sono ricordate anche come: la flagellazione, la corona di spine, portare la croce, il chiodo della mano sinistra, il chiodo della mano destra, il chiodo nei piedi, la lancia nel costato.

La storia dalle radici – Dai documenti sopra menzionati rileviamo con certezza che, all'epoca della loro stesura, S. Maria già esisteva nel territorio di Cernusco Asinario (denominazione toponomastica romana che si riferiva a «gente degli Asinii» e che distingueva chiaramente questo borgo dal non lontano Cernusco Lombardone). Passando attraverso successivi momenti storici, durante i quali veniva indicata ininterrottamente come chiesa parrocchiale di Cernusco, si giungerà fino alla metà del 1400. Cernusco nel frattempo si era estesa soprattutto verso nord, mentre il Santuario veniva a trovarsi sempre più lontano dal centro dell’abitato. A rendere più difficile la situazione giunse l’inizio dei lavori di scavo del letto del Naviglio Martesana che, sfiorando quasi le mura del l’edificio sacro, contribuirà ad allontanarlo ancor più dai suoi parrocchiani costretti ad un lungo percorso per attraversare l’unico ponte che permetteva di raggiungerlo. Tant'è che molti presero a frequentare la più prossima chiesa di S. Genesio. Tuttavia, poiché a S. Maria vi era sempre il camposanto, la gente vi ritornava per rendere omaggio ai propri morti.